Sentiero del Tracciolino 920 m. (Italia – dalla Val Codera alla Valle dei Ratti)
uno spettacolare tracciato intagliato tra le pareti rocciose e i pendii più morbidi che si sviluppa dalla Val Codera alla
Valle dei Ratti, e si mantiene ad una quota più o meno costante di 920 m.
Località di partenza: parcheggio di Mezzolpiano, Novate Mezzola
Quota di partenza: 314 m.
Quota di arrivo: 920 m. (quota max. nel punto più alto del Tracciolino)
Dislivello: 1.100 m. (dislivello totale positivo con le deviazioni)
Posizione: il percorso si sviluppa tra la Val Codera e la Valle dei Ratti
Difficoltà: EE [scala livello delle difficoltà]
Ore: 8h (anello completo)
Periodo: nei periodi di apertura del Tracciolino, ad esclusione della stagione invernale
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Discesa: a Verceia da dove si rientra poi a Mezzolpiano con una seconda auto precedentemente portata in zona,
oppure a piedi, nel tal caso, da considerare circa 4 km
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli
Raccontare l’esperienza e le emozioni vissute sul Tracciolino (qui i cenni storici), credo sia complesso.
Troppe cose, talmente tante e belle che rischio di ometterne qualcuna.
La difficoltà di questo racconto è anche nel far percepire la storia di queste valli e della sua gente, di questo percorso,
nonché dell’incredibile scenario in cui si svolge.
Inizio la descrizione con un pensiero che mi è venuto in mente, al termine della giornata trascorsa su queste montagne.
Avessi un bambino, lo porterei quassù, facendogli percorrere, se non tutto, almeno il tratto storico del percorso
che è anche il più breve (salendo da San Giorgio o Verceia).
Rimarrebbe stupito ad ogni passo di tutto ciò che vedrebbe e non si annoierebbe un solo istante.
Perché?
Perché è quello che è capitato anche a me.
Inoltre, a parte un breve strappetto per salire dalle frazioni citate sopra, il tragitto è quasi interamente pianeggiante.
Questo è un ottimo modo per introdurre i ragazzi alla montagna, senza stancarli o annoiarli ma, anzi, mantenendo viva
la loro curiosità.
Adesso cerco di riordinare i vari tasselli del puzzle e di incastrarli per bene.
Troviamo, le gallerie, i binari, gli strapiombi, i ponti, le dighe, i laghi e i monti tutto intorno.
Valli remote e selvagge e piccoli borghi che hanno fatto la storia e che, ancora oggi, sono lì per raccontarla
(qui la breve descrizione di queste borgate).
Ora però torniamo alla mattina e al momento dell’incontro a Verceia, frazione adiacente a Novate Mezzola, con
Daniela Ambrosi (Accompagnatrice di Media Montagna) e altri ragazzi con cui affronterò questo giro ad anello.
Per compierlo nella sua interezza, dobbiamo organizzarci con due auto.
Diversamente, la sera, ormai stanchi, saremo costretti a percorrere altri 4 km su asfalto per ricongiungerci al
punto di partenza.
Portiamo quindi un’auto a monte di questo paese, in località Vico, dopodiché ci rechiamo con l’altra auto a Mezzolpiano,
lasciandola nel parcheggio dove inizia la salita per la Val Codera.
Il meteo non ottimale, le nuvole, grigie e basse, coprono le principali cime montuose, tra cui il Monte Legnone ancora
parzialmente innevato.
Sperando non venga a pioverre, ci avviamo all’imbocco del bel sentiero che parte sulla sinistra del parcheggio.
Dato l’elevato numero di cartelli, tra cui quello riportante le regole per gli escursionisti che entrano in Val Codera,
non si può mancarlo.
Da Mezzolpiano a Codera
Il sentiero parte subito “deciso”, iniziando a rompere il fiato e a metterci “in bolla” le gambe.
Una lunghissima scalinata di granito, tra la rigogliosa vegetazione, rimonta la base della Motta di Avedée con
numerosi tornanti.
Più che vegetazione si potrebbe definire “giungla” talmente è selvaggia, bella e con piante (castagni, faggi),
davvero enormi.
Sembra un piccolo pezzo di Amazzonia ancora intonso che però non intralcia minimamente il sentiero, sempre
largo e ben tenuto.
Salendo, ogni tanto gli alberi regalano uno scorcio verso valle dove possiamo ammirare il Lago di Mezzola con Verceia e
il Monte Legnone (col Legnoncino) sullo sfondo.
Questa scalinata sembra infinita, ma calcoliamo che da circa 300 m. di altitudine, dobbiamo portarci a metà parete,
a 800 – 900 m.
Lasciamo ad un primo bivio il sentiero a sinistra verso Montagnola e proseguiamo a destra, in direzione
Avedée e Codera.
Al termine di questa salita nel bosco ci troviamo letteralmente con la faccia contro la roccia della montagna.
Siamo ormai a metà parete, e quello che parte sulla destra è l’inizio di qualcosa di unico intagliato nel granito:
un lunghissimo sentiero a mezza costa, esposto ma piuttosto largo e ben protetto, a picco sul Lago di Mezzola e con un
panorama da favola.
Un cartello giallo ci ammonisce riguardo il pericolo di caduta sassi, invitandoci ad evitare soste prolungate lungo
il percorso.
In effetti siamo praticamente in parete e qualcosa dall’altro potrebbe sempre venire giù…
L’inizio di questa parte (fino a Codera), ci vede impegnati in diversi “sali e scendi” per i gradini di granito ricavati
dalla roccia.
Ad ogni passo io mi fermo, mi appoggio contro il parapetto guardando in basso con lo stupore negli occhi.
E’ inevitabile.
Qui è tutta una meraviglia ovunque mi giri, in basso, in alto, di fronte e oggi, proprio grazie a questa nuvolosità diffusa,
all’orizzonte e nel fondovalle c’è assenza totale di foschia.
Una delle poche volte dove il tempo avverso, permette una buona visibilità.
Perfino lo stesso sviluppo di questi gradini e di questo tracciato sono uno spettacolo che, come dicevo all’inizio,
è difficile da descrivere.
Bisogna venirci per rendersene conto di persona.
Vedere in basso tutta la piana di Mezzola con l’omonimo lago e, più in là, il lago di Como, sempre con il Monte Legnone in
primo piano è pura magia, così come è magia posare gli occhi sulle cime circostanti, dove le nubi giocano ad
insinuarsi nei canaloni impervi tra queste pareti.
E per quanto riguarda la via dove camminiamo?
A vederla per un lungo tratto, aggrapparsi letteralmente al fianco di questa montagna e svilupparsi come un lungo
serpentone, mi ricorda uno di quei percorsi selvaggi e avventurosi che si trovano in America Meridionale.
Se non fossi a conoscenza di vedere valli note, abitate e che comunque hanno fatto la storia, mi sembrerebbe di essere
in marcia alla scoperta di qualche tempio Maya o civiltà antica sperduta nella giungla.
Per quanto mi riguarda camminare in uno scenario così, mi rievoca quell’immagine, vista più volte in documentari o sui libri.
Procedendo lungo questa cengia il panorama diventa sempre più interessante, ed è incredibile notare come questa
vegetazione si sia arrampicata fin quassù aggrappandosi strettamente alla roccia.
In vari punti spuntano perfino le ginestre (Genisteae), tipiche di zone più miti, che danno al paesaggio una giusta tinta di giallo.
In corrispondenza di Avedée le pendenze si attenuano, in quanto il sentiero inizia ad inoltrarsi più all’interno della Val Codera
che già da questo punto si delinea maggiormente.
Qui finisce un po’ la prima meraviglia (l’incredibile panorama) e ne comincia una seconda, quella di una valle selvaggia,
intonsa e puntellata qua e là da piccole borgate.
Prima di Avedée incontriamo sulla sinistra una piccola cappelletta, seguita ancora da un breve tratto a mezza costa nel
bosco, al termine del quale, nascoste dagli alberi, si profilano le prime case in pietra di questa frazione di Novate,
adiacenti ad un’altra piccola cappella.
A seguire, altre case in pietra allineate e ben disposte lungo i terrazzamenti che in tempi passati qui si sono realizzati,
a formare un piccolo borgo isolato, direttamente sotto la parete verticale della Motta di Avedée.
Case, prati, pascoli, castagni e orti.
Tutto è splendidamente curato e mantenuto, nonostante sia ormai poca la gente rimasta quassù.
Un pannello informativo ci ragguaglia circa la formazione da parte della Comunità Montana della Valchiavenna di un
progetto per la riqualificazione ambientale e il miglioramento di 6.000 mq di castagneto e dell’habitat H4030 “Lande
secche europee”.
Viene perfino indicato l’anno in cui è stata effettuata l’ultima raccolta di semi di alcune specie arboree, così come la
sistemazione dei sentieri tra cui il Sentiero Roma, che proprio nella prima tappa tocca questi luoghi fino al Rifugio Brasca
più a monte.
Transitiamo da ospiti e in silenzio per questo terrazzino erboso, quasi a non voler interrompere l’incanto del luogo.
Superiamo una piccola fontana in legno e la piccola chiesetta di Sant’Antonio da Padova da dove, poco più avanti,
si apre un magnifico scorcio verso il borgo di Codera.
Impressionante vedere nel mezzo di una vallata come questa, un pugno di case così ben tenute e in ordine che hanno
valicato i confini del tempo.
Voglio assolutamente conoscere più da vicino questo paesino così ricco di storia e, appena arrivati a destinazione,
curioso tra le sue case.
Il percorso per raggiungerlo è ben visibile, tutto incastonato nella roccia, nella vegetazione e caratterizzato da lunghi
tunnel aperti.
Favola pura.
Di nuovo su e giù per gradini di granito, dentro e fuori dai tunnel, sopra i quali scendono vere e proprie cascate d’acqua.
Ecco che lo stupore del bambino torna a palesarsi, gli occhi si sgranano davanti a tanta meraviglia.
Già, la meraviglia è anche questo.
Basta un percorso nella roccia, dentro un tunnel al di sopra del quale scende una bella cascata per emozionare.
E lascio apposta la parola tunnel che ben si sposa con questo paesaggio, pazienza se per gli addetti ai lavori sono semplici
gallerie paramassi.
Arrivati sulla soglia di Codera veniamo catapultati indietro nel tempo, quando la borgata aveva ancora molti abitanti
(oggi solo sei), e i vecchi mestieri ancora praticati.
Oggi i tempi sono cambiati ma sembra che tutto sia rimasto come allora.
Qualcuno lo si vede ancora intento a sistemare il viottolo davanti casa piuttosto che l’orto o prendersi cura del bestiame.
All’inizio del paese si trova ancora in perfetto ordine la chiesa di San Giovanni Battista col tipico campanile isolato.
Proprio di fronte, il Rifugio La Locanda di Codera, offre ai viandanti piatti tipici e, per chi lo volesse, un po’ di riposo.
Qualche metro più avanti l’edificio dell’Oratorio, così come molte case in pietra (molte con l’orto), sembrano non mostrare
i segni del tempo.
Noi qui facciamo una sosta per far riposare un po’ le gambe dopo questa prima parte di percorso.
Sono curioso di infilarmi in qualche angolo tra queste case.
Mi aggiro tra i viottoli senza una meta e mi imbatto prima in un edificio dove un cartello indica la presenza dell’Osteria Alpina
del Vino Buono e poi, ancora più a sorpresa, in due piccoli musei.
Musei qui?
Sì, quello della pastorizia e della lavorazione del granito e quello di geologia e della civiltà del castagno.
All’interno delle minuscole salette sono esposti tutti gli attrezzi che una volta venivano impiegati per i vari lavori in valle e
alcuni minerali estratti da queste rocce.
Due testimonianze del passato, in particolar modo per il primo museo, che davvero valgono alcuni minuti di visita.
Prima di rimettermi in marcia sosto qualche minuto seduto su un muretto e semplicemente osservo, ripensando a
come doveva essere la vita qui, molti e molti anni fa.
Da Codera a San Giorgio
Riprendiamo a camminare fino alla fine del borgo, dove un cartello sulla destra ci fa deviare verso la parte storica del
sentiero del Tracciolino (dritti si andrebbe ai rifugi Brasca e Bresciadega lungo il Sentiero Roma).
Le indicazioni riportano anche la frazione di San Giorgio, il Sentiero Italia e il Sentiero Life delle Alpi Retiche.
Se questa prima parte è stata incredibile ed enormemente varia, la parte che inizia ora lo sarà ancora di più.
Dalla Val Codera alla Valle dei Ratti lungo i binari di un treno!
Dagli 825 m. di Codera ci porteremo ad una quota di poco superiore, attorno ai 900 – 920 m., attraversando ancora valloni,
gole, rocce e dirupi.
Non saliamo però subito, anzi, scendiamo fino al caratteristico ponte in pietra sul Torrente Codera (il Punt de la Muta)
sospeso sopra a 40 m. di vuoto.
La mia fantasia me lo fa immaginare come un passaggio nascosto tra le rocce, verso qualche misterioso regno elfico in
quanto l’atmosfera che si respira è proprio quella.
Il Signore degli Anelli avrebbe potuto benissimo essere girato qui.
Ad un successivo bivio proseguiamo dritti e raggiungiamo la gola della Val Ladrogno, dove un altro bellissimo ponte in
pietra del 1700, il Punt de la Val Mala, la supera affacciandosi sulle famose marmitte dei giganti.
Proseguiamo ignorando un’altra deviazione sulla sinistra che sale in Val Ladrogno e al Bivacco Casorate Sempione
(4 ore da qui!) e passiamo accanto ad un enorme castagno.
E’ il castagno dei morti, le cui castagne si vendevano per offrirne il ricavato ai defunti.
Superiamo due brevi strappetti e passiamo davanti alla croce di Attilio Colzada, posatore di pietre e ultimo abitante di Cii che
morì proprio in questo punto del sentiero rientrando una sera da Codera.
Oltre la croce, un bosco di castagni ci precede prima dell’arrivo sui prati di Cii da dove torniamo ad affacciarci sulla piana di
Mezzola col suo lago e i suoi monti.
Non si fa in tempo a gustarsi un particolare del paesaggio, un borgo, un prato o un monte, che subito cambia tutto e
un altro aspetto del luogo ci attrae.
Qui, infatti, la prima parola ad essere bandita è “noia”, seguita da “stanchezza”.
Anche quest’ultima, infatti, non la sentiamo mai, catturati come siamo da mille elementi, una su tutte questo sentiero che
fino ad ora non ha mai smesso di stupirci.
Poco oltre il paese di Cii, mi fermo nuovamente ad osservare il panorama verso il Lago di Mezzola.
A colpirmi però questa volta è un altro piccolo gruppo di case abbarbicato su un promontorio isolato, circondato da
precipizi e a picco sul lago.
Non ci sono rovine o antiche civiltà e solo per questo non lo si può confondere con, ad esempio, Macchu Picchu o
luoghi simili.
Ma la cartolina è quella.
Un altro lungo tratto a mezza costa (in vista del solco della Val Grande) ricco di ponticelli, passaggi nella roccia,
piccole frane e vegetazione ovunque, ci accompagna lungo questi versanti dalle pareti strapiombanti.
Oltrepassiamo una prima galleria sormontata da un’altra cascatella e, superato il solco principale della vallata,
rientriamo in un bosco di castagni dove ad incuriosirci è un grande edificio isolato che in realtà fungeva da mensa degli
operai durante i lavori di costruzione di questo tracciato.
Giungiamo ad un bivio dove si staccano tre sentieri: a sinistra quello che sale a Cola, a destra quello che scende in
fondo al Vallone di Revelaso per poi risalire al paese di San Giorgio, e dritto quello che prosegue lungo il
Tracciolino per il Vallone di Revelaso con un percorso intagliato nel granito nella parete meridionale del Sasso Manduino.
Seguiamo questa cengia fino a portarci proprio sopra l’abitato di San Giorgio, punto dal quale si inizia a intravedere la
sponda opposta del sentiero percorsa in mattinata con Avedée, la Motta di Avedée e sul versante opposto della
Valchiavenna anche il Monte Berlinghera.
Come resistere alla tentazione di visitare anche questo piccolo borgo abitato tempo fa dai cavatori di granito?
Scendiamo dunque lungo un sentiero a tratti gradinato e un po’ ripido, perdendo circa 150 m. fino a giungere alle case
di San Giorgio dove al centro c’è la piccola chiesa oggi dedicata ai Sacri Cuori di Gesù e Maria.
Anche qua case e prati ben curati ma quasi nessuno in giro.
Qualche bambino che gioca in una casa, due cani vanno a spasso, un boscaiolo taglia la legna, ma per il resto
incontriamo solo escursionisti.
In questo paesino – una vera e propria isola verde – sostiamo per il pranzo prima di rimontare il dislivello per andare a
riprendere il Sentiero del Tracciolino.
A malincuore, perché essere sospesi nel tempo in questa magia è difficilmente descrivibile.
Pace, silenzio e tranquillità: elementi essenziali per l’uomo che la vita stressante di pianura e di città hanno cancellato.
Il nostro cammino ci porta a destra, verso la Valle dei Ratti e verso il tratto più incredibile del percorso.
Sempre incredibilmente il tempo regge, si mantiene una diffusa copertura nuvolosa, ma in compenso non abbiamo
ancora preso una goccia.
La vista verso il fondovalle rimane nitida e ora dal punto in cui ci troviamo, inizia ad aprirsi anche la piana della Valchiavenna
col Lago Pozzo di Riva in primo piano, seguito da paesi e campi coltivati.
Si palesa davanti a noi una primissima galleria che, anche se molto corta, ci segnala l’ingresso al cuore del Tracciolino.
Ci troviamo nella parte più sbalorditiva di tutto il percorso e da qui in poi ci sentiamo esploratori di un mondo nuovo.
A questa prima galleria fa seguito subito una seconda più lunga, circa 50 m., che conduce verso la Valle del Monte, anche
se in realtà è un burrone impressionante tra due pareti verticali.
Queste gallerie sono un po’ piene d’acqua che si scioglie e filtra dalla roccia.
Tra una galleria e l’altra ad accompagnarci è tornato lo spettacolo verso il Lago di Mezzola e la bassa Valchiavenna.
Ma in che posto siamo?
Terza, quarta e quinta galleria (con finestre che regalano vedute immense) ci sorprendono di continuo, la sesta ci fa
procedere a capo chino dato che è alta solo 1 m. e 75 cm e poi la settima sospesa nel vuoto.
Se il tutto sembra pazzesco, il bello arriverà tra poco.
L’ennesima galleria, l’ottava, lunga 80 metri ci conduce lungo la parete della Cima di Provinaccio e, nella nona galleria
incontriamo finalmente loro.
I binari del treno, con tanto di cartelli appesi al muro recanti il simbolo della locomotiva e l’avviso del pericolo di
mezzi su rotaia!
Oggi ovviamente il treno non viaggia più, ma il fascino di camminare dentro la montagna seguendo dei binari è
qualcosa di indescrivibile.
Quanti altri posti offrono simili scenari?
Sulla sinistra si sente lo scorrere dell’acqua nella condotta forzata dalle prese di Saline, ai tubi della centrale di
Campo di Novate, nel fondovalle.
Dopo una prima galleria con ampie aperture laterali, ci troviamo di fronte a quella più buia e lunga, ben 340 m. di
puro spettacolo.
Un pulsante a tempo sulla destra aziona l’illuminazione necessaria ma, dato che il mio gruppo è avanti ed è entrato al
buio, io faccio altrettanto affidandomi alla frontale.
Così è molto più emozionante!
All’interno, una bella frescura e acqua ovunque: sul terreno, tra le rotaie, lungo le pareti e sul soffitto.
A metà galleria, proprio contro la parete di destra scende una cascatella.
Rallento il passo per godermi ogni istante fino alla fine.
All’uscita una luce improvvisa mi coglie.
Non quella del sole, che oggi manca, ma quella di un paesaggio che è mutato all’improvviso, più morbido e ricco di
vegetazione. I binari sono sempre presenti, (e lo saranno fino alla fine del percorso), ma da qui in poi l’erba e i fiori tentano
in ogni modo di riguadagnarsi il loro spazio.
Volutamente mi abbasso al livello dei binari per immortalare degli splendidi fiori di Becco d’Airone (Erodium cicutarium).
Appena fioriti che hanno circondato le traversine esplodendo coi loro colori in una gran festa.
Anche il panorama è cambiato col Monte Legnone di nuovo di fronte e, più in basso, l’abitato di Verceia, nostro
punto di arrivo.
Alle spalle invece la parte bassa della Valchiavenna, circondata da monti imponenti e col minuscolo Lago di Pozzo di Riva
in primo piano.
Arriviamo in uno spiazzo erboso dove corrono due binari paralleli.
Qui, un ramo del Tracciolino si stacca e porta ai ruderi di un piccolo villaggio costruito per ospitare gli operai addetti
alla sua costruzione.
Sosta obbligata per ammirare il panorama che un traliccio un po’ invasivo non riesce a limitare.
Esattamente sotto ai miei piedi, il Lago di Mezzola è uno spettacolo e da qui si vedono anche le anse del Torrente Mera
che entra nel lago per poi uscire ed entrare in quello di Como, dopo aver lambito la riserva naturale del Pian di Spagna.
Lungo le sponde del lago i paesi di Verceia da una parte e Dascio e Albonico dall’altra.
Macchie colorate che spiccano dal blu del lago e il verde rigoglioso della vegetazione.
Le nubi sono sempre molto alte e non avvolgono questi splendidi paesaggi.
Incredibile vedere il dettaglio di ogni singolo edificio dei paesi immediatamente sottostanti, case totalmente nel verde,
con campi coltivati e alcune lungo la sponda del lago.
Riprendiamo la nostra marcia verso la Valle dei Ratti, calpestando la verdissima erbetta che cresce tra le traversine
della ferrovia.
Dopo ancora qualche galleria paramassi, superiamo un bel ponte in metallo portandoci verso la fine di questo
tracciato pazzesco, in corrispondenza della casa dei guardiani della diga di Moledana e della mulattiera che
sale verso Frasnedo.
Abbiamo già fatto molta strada, la stanchezza nelle gambe inizia un po’ a farsi sentire, ma qui c’è una diga col laghetto a
poca distanza che ci chiama a gran voce.
Il sentiero, o meglio, i binari, tra erba e fiori superano anche un ponte in ferro e un traliccio, si sdoppiano in uno scambio e
arrivano ad un tunnel.
Entriamo in questa galleria un po’ buia fino a trovare l’uscita sulla destra.
Siamo su un terrazzino di fronte alla diga dal quale scattiamo qualche foto all’impressionante arco in muratura,
prima di percorrerne il vertiginoso camminamento (64 m.), con il vuoto da una parte (42 m.) e il lago dall’altra
(con capienza di 100 mila metri cubi d’acqua).
Alla testata del lago due belle cascatelle si tuffano in esso.
Ci fermiamo qualche minuto dall’altra parte, nei pressi della casa del custode, dove osserviamo ai piedi dello sbarramento,
una seconda piccola diga costruita per impedire l’erosione dell’acqua.
Idea geniale, ma la cosa più sorprendente è che tutta la costruzione di questa diga è avvenuta in maniera manuale,
senza tecniche industriali avanzate, ma solo grazie all’abile lavoro degli scalpellini che hanno incasellato alla perfezione i
blocchi di granito.
Impressionante, non so se oggi qualcuno sarebbe ancora in grado di realizzare con tecniche così semplici una tale opera.
E’ ormai metà pomeriggio quando torniamo indietro fino ad incrociare la mulattiera che scende a Verceia.
La nostra seconda auto è molto più in basso, in località Vico e al termine del tratto transitabile.
Si potrebbe salire ancora un po’ con pagamento di pedaggio, ma il parcheggio è inesistente, obbligando a manovre un
po’ azzardate ai bordi di una strada sul ciglio dello strapiombo.
Non seguiamo interamente la mulattiera che scende lungo i tornanti, ma tagliamo per un sentierino nel bosco passando
per la Cappella di San Sciöch che gli alpini utilizzano per le loro sagre.
Il problema è che tagliamo troppo per questo sentierino e, senza accorgercene, ci troviamo molto più in basso rispetto a
dove abbiamo l’auto, nei pressi delle prime case di Verceia.
Due di noi risalgono quindi per il sentiero, fino a ricongiungersi con la mulattiera dalla quale scenderanno per recuperare
l’auto, mentre io e un altro ragazzo scendiamo in paese aspettando poi il passaggio per tornare a Mezzolpiano a recuperare
anche l’altra vettura.
Così termina questo incredibile viaggio in un posto da favola, tra valloni impervi, gallerie, treni e panorami favolosi.
Un percorso adatto a tutti coloro abituati a camminare un pò, ai quali consiglio di compiere questo anello nella
sua interezza.
Relazione e fotografie di: Daniele Repossi
Un ringraziamento particolare a: Daniela Ambrosi
Note: uno spettacolare tracciato intagliato tra le pareti rocciose e i pendii più morbidi che si sviluppa dalla Val Codera
alla Valle dei Ratti e si mantiene ad una quota più o meno costante di 920 m.
Non ci sono particolari difficoltà tecniche se non un’esposizione costante e notevole, anche se buona parte del tracciato
è protetta dal parapetto.
Il percorso molto lungo e il dislivello notevole, rendono necessario un buon allenamento.
Per i tratti in galleria è fortemente consigliabile una frontale.
Prestare attenzione alla caduta sassi in vari punti del tragitto e ad eventuali ordinanze che inibiscono alcuni tratti
agli escursionisti.
Se una volta scesi a Verceia si vuole evitare di percorrere altri chilometri su asfalto per rientrare a Mezzolpiano,
diventa indispensabile organizzarsi con due auto.
Un’escursione meravigliosa e un tuffo nella storia di queste valli contornato da uno scenario da fiaba.