Sentiero Excalibur 1.084 m. (Italia – Altopiano di Tonezza)
sentiero breve e semplice, ma di grande interesse storico tra trincee, camminamenti e fortini della Grande Guerra
Località di partenza: parcheggio presso la Baita Pontara, località Pontara,
ad 1 km da Contrà Sella di Tonezza del Cimone (VI)
Quota di partenza: 1.084 m.
Quota massima raggiunta: 1.095 m.
Dislivello: 130 m.
Posizione: nel cuore dell’Altopiano di Tonezza, il Sentiero Excalibur è uno dei più famosi
Difficoltà: T / E [scala dei livelli delle difficoltà]
Segnaletica e numero del sentiero: n° 539 per la prima parte fino al bivio nei pressi del Soglio dei Corvi,
n° 536 il rientro dal bivio alla Baita Pontara
Ore: 1h 15′ per l’anello completo
Distanza: 3,4 km
Tipo di terreno: prati, sentiero nel bosco, roccette, ghiaietto
Periodo: tutto l’anno.
La discesa ai fortini, soprattutto il secondo affacciato sulla Valle di Rio Freddo è sconsigliata in caso di neve
Acqua lungo il percorso: assente, ma si può fare rifornimento alla Baita Pontara prima di partire
Attrezzatura richiesta: nessuna in particolare
Ritorno: si rientra allo stesso punto di partenza dopo aver compiuto un giro ad anello (vedere la cartina)
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli
Tecnicamente in breve
Da Tonezza del Cimone si segue la strada asfaltata per il Passo della Vena fino a raggiungere il grande
incrocio di Contrà Sella.
Qui si prende la strada a sinistra e dopo 1 km si arriva al parcheggio in località Pontara, davanti alla
Baita Pontara (1.084 m.)
Si imbocca il sentiero sulla destra della struttura prendendo subito la diramazione a sinistra in modo da effettuare il
giro in senso orario (la numerazione delle bacheche informative poste lungo il percorso seguono questo senso di marcia).
Passando dietro la baita si imbocca il sentiero su prati e tra le prie e, dopo un saliscendi, si arriva ad uno dei
luoghi più caratteristici: lo stagno col vecchio faggio secolare.
Si prosegue verso sud e ad un primo bivio si ignora la deviazione sulla sinistra per il Sentiero delle Fontanelle.
Dopo qualche metro di discesa si esce dal bosco e si mette piede sull’asfalto presso Contrà Vallà.
Pochi metri ancora e si rimbocca il sentiero che per prati e passando dietro le case, giunge ad un grande bivio.
Rimandando al testo la spiegazione dell’ubicazione dei fortini, si continua verso destra per il bosco
(indicazioni Sentiero Excalibur).
Dopo un breve tratto si arriva alla sagoma di legno di un cavaliere e ad una roccia dove è conficcata la spada Excalibur. Proseguendo sempre dritti si penetra più nel bosco portandosi sul ciglio della Valle della Sola.
Si passa accanto ad una trincea, si supera un piccolo anfiteatro in stile romano e dopo una salita un pochino più ripida
nel bosco si ritorna alla Baita Pontara.
Raramente mi è capitato di imbattermi in un sentiero che racchiudesse al suo interno così tanti elementi e
spunti di interesse.
Al momento in cui mi è stata consegnata la brochure del percorso all’Ufficio Turistico in paese devo ammettere di non
aver dato troppa importanza a questo giro ad anello ma, dopo averlo affrontato, ho capito lo sbaglio commesso.
La storia e l’idea di concedermi un po’ di relax nel camminare mi hanno spinto nella Valle dei Ciliegi che ora vi racconterò.
Il Sentiero Excalibur è semplicemente un contenitore di elementi naturali e storici pazzesco, una scuola a cielo aperto
dove le lezioni si tengono tutti i giorni.
La sua brevità e accessibilità lo porta ed essere percorso in ogni stagione dell’anno da adulti, bambini, scout e scolaresche
che possono così arricchire il proprio bagaglio culturale praticamente in qualsiasi campo.
Come detto, gli aspetti storici e naturalistici la fanno da padrone, ma come sappiamo lo spazio racchiuso tra i monti e
l’altopiano cela tesori inaspettati e, curiosi particolari che sarebbe un peccato non scoprire.
Prima di portarvi con me in questo magnifico anello faccio una premessa scontata indicando il target di questo percorso:
è adatto a tutti.
Ho voluto inserirne la descrizione tra le escursioni storiche, dato che l’Altopiano di Tonezza ha segnato importantissimi
eventi per tutta la durata della Grande Guerra ed è di certo il tema prevalente, ma cercherò al meglio di focalizzare
l’attenzione anche sugli altri elementi di interesse.
A tal fine, se avete dei bambini dovete portarli qui, è il loro mondo.
Impareranno una marea di cose e si divertiranno come pazzi.
E poi…c’è sempre una spada da provare ad estrarre!
Dove?
Pazienza, pazienza…
Salendo sull’altopiano nessuno ci fa caso.
Si passa e si va, destinazione altre mete e altri monti.
Ma, a cercare bene, nelle vicinanze di Contrà Sella, esiste un regno oggi magico e incantato che in passato
ha visto l’inferno.
Questo piccolo mondo è la Valle dei Ciliegi, un ambiente unico interessato da distese di prati e pascoli che racchiudono
un’infinità di specie di erbe e fiori e che in alcuni periodi dell’anno si ricoprono coi i colori dell’arcobaleno.
Poi ci sono fitti boschi di faggi e abeti che con le loro chiome regalano un bel refrigerio nei mesi più caldi, un habitat
popolato da moltissimi animali come camosci, caprioli, scoiattoli, cavalli e mucche.
Questo sotto l’occhio vigile dell’aquila reale che ogni tanto fa capolino dai monti e, se si è fortunati, capita di avvistare.
A chi non piacerebbe vivere in un regno così fuori da caos, rumore e disordine?
Penso a tutti, ma se la cosa risulta impossibile alla prova dei fatti, è altrettanto assodato che questo mondo è sempre lì,
pronto a spalancare le porte ogni volta che lo si desideri.
Raggiunta Contrà Sella si svolta a sinistra e dopo poco si arriva al parcheggio in località Pontara dove, di fronte,
è posta l’omonima baita che offre ristoro tutto il giorno (mi riferisco alla bella stagione).
Accanto c’è anche la Baita Tedetta, chiusa.
Scesi dall’auto non resta che bussare alle porte di questa valle e chiedere di entrare.
E’ quello che faccio anch’io in una splendida giornata di sole estiva forse troppo bollente, imboccando la traccia alla
destra della Baita Pontara, dove sono collocate due bacheche, la prima con la cartina del percorso e la seconda,
la n° 1, didattica.
Già, perché lungo l’intero giro ci sono 10 di queste bacheche, numerate e riferite ad un differente aspetto del territorio.
Non tutte in effetti rientrano nel giro, alcune sono un po’ fuori mano e occorre raggiungerle con deviazioni più o meno lunghe.
Per questo la mia esperienza si rifarà esclusivamente a ciò che è presente lungo l’anello, senza divagazioni,
fortini austroungarici a parte.
Come leggo sulla prima insegna, nemmeno partito, mi trovo già in un punto davvero interessante.
Mi trovo su un grande e soffice prato erboso che si perde all’orizzonte e che in primavera si riempie di fiori
(il croco è diffusissimo).
Non solo prati e alberi però, alcune contrade fanno capolino e si presentano come sparuti nuclei di case isolate che
danno quel qualcosa in più al paesaggio.
Contrà Sella per esempio, che da qui si vede sovrastata dal Monte Campolongo, Contrà Vallà, che raggiungerò tra un po’ e,
alle mie spalle, Contrà Valle, un po’ isolata proprio ai piedi dello Spitz Tonezza.
Proprio i monti che contornano il quadro sono uno spettacolo: Melignone, Campomolon, Toraro e lo stesso Spitz,
in parte a pascolo e in parte ricoperti da grossi macigni tra cui fanno capolino i mughi.
Monti che parlano di storia e che hanno visto la strenua resistenza italiana del 1916 contrapposta all’avanzata austriaca
durante l’Offensiva di Maggio.
Mi incammino, incanalandomi tra le laste (tavole di Rosso Ammonitici) estratte tempo fa da vicine cave di marmo e
lavorate da ragazzi che volevano imparare la professione dello scalpellino.
Osservandole, mi sembra già impossibile come sia venuto fuori un lavoro tanto preciso: non c’è una lasta fuori posto!
Una piccola discesa ed eccomi a passare sotto un arco naturale sagomato dall’uomo.
Davvero carino!
Fuori dal “tunnel”, sempre in mezzo alle laste, risalgo per qualche metro il prato fino a portarmi al margine di un bosco
nel quale risalta in primo piano una sagoma strana, diversa dalle altre.
E’ il vecchio faggio, una pianta monumentale di 200 anni che potrebbe raccontare tutto di questi luoghi: dagli orrori della
guerra alla rinascita del territorio e alla vita che alla fine vince sempre.
Il luogo in cui mi trovo, come descritto anche nel Sentiero delle Fontanelle, è un’autentica cartolina, un mondo nel mondo.
Sotto al vecchio faggio c’è uno stagno che un tempo serviva a raccogliere l’acqua piovana per abbeverare gli animali e
lì vicino, una piccola casetta, il Baito delle Coste, un tempo usata come stalla e fienile e oggi come abitazione e deposito.
Le foto che ne escono sono davvero un incanto, peccato per lo stagno che in quest’anno di siccità ha poca acqua e
assomiglia più ad una pozza melmosa.
Ma io non ci voglio fare caso, l’acqua ritornerà presto così che anche il faggio e la baita potranno tornare a specchiarsi
al suo interno per interi.
In questo angolo di paradiso, all’ombra e al fresco, mi siedo sulla panchina e consiglio anche a voi di fare altrettanto.
Mucche e cavalli stanno pascolando nel grande appezzamento alle mie spalle e ogni tanto qualcuno di loro scende
a salutare i nuovi passanti.
Pur essendo frequentato non si incontra mai folla sul sentiero.
E’ un piacere tuttavia incontrare bambini incuriositi da questo o da quell’altro elemento, chiedere ai genitori e vederli poi
proseguire lungo il sentiero saltellando allegri e col sorriso.
Questo percorso è sempre esistito, ma solo recentemente è stato sistemato e valorizzato rendendolo accessibile
davvero a chiunque.
E’ giunto il momento di proseguire, la prossima metà è Contrà Vallà.
Lungo questa parte pianeggiante mi capita di camminare con la testa rivolta sempre a destra, su uno scenario incredibile
verso la Valle dei Ciliegi e i monti di Toraro e Campomolon.
A voler cercare il pelo nell’uovo si può notare anche qualche imperfezione, ma qui la natura non c’entra.
I pali della luce sono opera dell’uomo e, per portare elettricità alle varie contrade isolate, si sono dovuti installare.
Questo nulla toglie però all’incanto che mi circonda.
Incontro muri a secco, laste e terrapieni fino ad arrivare in un piccolo spiazzo dove è posto un bivio.
Questo tratto è caratterizzato dalla presenza di numerosi larici e un tempo veniva chiamato anche “Sentiero delle Vacche”,
in quanto attraversato dal bestiame che si dirigeva al pascolo.
Il percorso mi spinge dritto e quindi ad ignorare la deviazione a sinistra per il Sentiero delle Fontanelle.
Poco più avanti supero un’altra bacheca didattica e mi trovo circondato anche da frassini, faggi e ciliegi che si innalzano
da un sottobosco estremamente ricco in quanto a varietà arboree.
Ad un botanico qui gli si illuminano gli occhi.
Alla mia destra stanno pascolando alcuni magnifici cavalli.
Hanno un mantello rossiccio e delle folte criniere.
Senza nemmeno accorgermene arrivo alle prime case di Contrà Vallà dove per un momento il sentiero si tuffa in
qualche metro di asfalto.
E’ un piccolo borgo che risale al 1860: poche case, costruite con la pietra lavorata estratta da vicine cave e tenuta insieme
dalla calce preparata sul posto.
Questa è una delle contrade più isolate (assieme a Contrà Valle) e da qui parte anche uno dei numerosi sentieri che
conducono all’Ossario del Cimone e che si collegano al Piazzale degli Alpini.
Riprendo a scendere lungo il sentiero costeggiando le ultime case su terreno morbido con ampi prati alla mia destra e
una faggeta sulla sinistra, fino ad arrivare a quello che mi sento di chiamare il super bivio.
Avete presente il classico incrocio immaginario dove davanti a voi si palesano più porte da aprire e dovete sceglierne una?
La scena, che mi strappa un gran sorriso, è proprio questa.
Rimango un po’ stupito da questo strano incrocio, pieno zeppo di indicazioni e in cui convergono ben 5 sentieri.
Quello sul quale mi trovo, uno più in basso che attraversa la Valle dei Ciliegi, uno in direzione ovest, che è anche la
prosecuzione del Sentiero Excalibur, uno che scende verso la Valle di Rio Freddo e un ultimo che prende la direzione est
verso il Monte Cimone.
Le indicazioni come detto sono presenti ma un po’ strane in quanto riportano le diciture di piccoli borghi, paesi o luoghi
in cui è presente un elemento di interesse.
Per esempio, poco distante si trovano alcune cave e una sorgente, indicate ovviamente, così come una parete di roccia
(punti che ho volutamente trascurato in quanto non proprio vicinissimi).
Indicata è anche la continuazione del Sentiero Excalibur.
Ma nulla riguardo forse l’elemento storico più interessante, anzi gli elementi, dato che qui ci sono ben due fortini austriaci
scavati nella roccia e usati dalle truppe imperiali durante l’occupazione dell’Altopiano di Tonezza nel 1916.
Rimandando alle note storiche la loro descrizione, qui mi limito ad indicare la loro ubicazione.
Il primo si trova accanto a questo bivio: basta rimontare qualche metro di salita in diagonale tra le radici per trovarlo.
Per capirci la stradina è quella in mezzo tra i sentieri indicanti la palestra di roccia e le cave basse.
Per il secondo basta seguire per la palestra e poi scendere per un po’ lungo il ripido pendio della Valle di Rio Freddo
verso il Soglio dei Corvi.
Dopo qualche curva su terreno ripido e ricoperto di foglie, si trova una grande apertura nella roccia, prima che il sentiero
“precipiti” ancora più a picco giù per il pendio.
Non sono purtroppo chiare le indicazioni in loco dei fortini e per trovare il secondo ho dovuto interpretare la piccola e
semplicistica cartina colorata a mano appesa ad un tronco, cartina che riporta i settori della palestra di roccia.
Senza questa, mai mi sarei sognato che poco più in basso si trovasse un’altra postazione in caverna.
In ogni caso queste due opere sono uno degli elementi più interessanti del percorso e un salto è d’obbligo, anche per
capire i movimenti di allora delle truppe e di ciò che hanno dovuto affrontare.
La Strafexpedition e la Grande Guerra sull’Altopiano di Tonezza
L’Altopiano di Tonezza rimane coinvolto negli scontri della Prima Guerra Mondiale nel maggio del 1916 quando gli
austriaci lanciano la poderosa offensiva contro l’Italia fedifraga, rea di aver tradito la Triplice Alleanza.
L’obiettivo dell’Impero è quello di raggiungere la pianura vicentina avanzando dagli Altipiani Cimbri e sfondando per
quello di Asiago.
L’obiettivo italiano è l’opposto, resistere ad oltranza, come chiede Cadorna.
Tra il 15 e il 19 maggio i forti austroungarici battono con le loro artiglierie le linee di difesa italiane, sconvolgendo il
fronte e cogliendo impreparati i nostri uomini.
Questo anche per le sciagurate manovre invernali che anziché rafforzare la linea di difesa, la portano più avanti, lungo
monti e crinali indifendibili.
I reggimenti e i battaglioni del XX Corpo d’Armata al comando dell’Arciduca Eugenio e costituito da truppe scelte molto
ben addestrate per la guerra in montagna (Hessen, Rainer, Edelweiss), il 18 maggio conquistano la dorsale Monte
Maggio -Toraro, travolgendo le forze della 35° Divisione (Felice de Chaurand) che si battono strenuamente, ma sono
costrette a ripiegare.
Anche i soldati capiscono di essere lungo una linea di resistenza pronta per un’offensiva ma del tutto inadatta alla difesa.
Travolti dalle artiglierie austriache e da truppe meno numerose ma più preparate a questo tipo di terreno, gli italiani sono
costretti ad arretrare verso il Passo della Vena, scendendo poi sull’Altopiano di Tonezza.
Gli austriaci, tra il 19 e 20 maggio, avanzano e occupano Monte Campomolon dove il sottotenente Paolo Ferrario, nel
tentativo di far saltare l’omonimo forte, rimane coinvolto nelle esplosioni perdendo la vita.
In questi giorni cade prima anche il Monte Melignone e viene poi occupato il Passo della Vena.
L’ordine del comando del gruppo armate Arciduca Eugenio non lascia spazio ad interpretazioni: spingere l’offensiva fino
a Thiene, nella pianura vicentina che dalle suddette vette appare molto vicina e ben in vista.
Nel mezzo dei combattimenti gli imperiali sono costretti ad impiegare gli stessi soldati, stravolti per le lunghe giornate
di combattimenti, per costruire una strada che permette loro di far avanzare le potenti artiglierie e tutti i rifornimenti necessari.
L’offensiva deve continuare.
Si lavora giorno e notte, senza sosta per costruire la strada che da Malga 2° Posta, sull’Altopiano dei Fiorentini,
giunge fino al Passo della Vena.
Il lavoro è enorme, mastodontico: occorre far saltare chilometri di roccia e spianare il terreno, ma il lavoro viene portato a
termine (ancora oggi la strada, ora asfaltata, congiunge Tonezza coi Fiorentini).
Nel frattempo Tonezza è già deserta, le contrade vuote; gli abitanti, visto l’imminente pericolo, hanno già abbandonato le
loro case e i loro averi, in fretta e furia, portando con sé le poche cose essenziali e trasportabili tramite carri e muli.
Si sono trasferiti tutti in pianura, dicendo ai propri pargoli che l’esilio sarebbe stato breve.
In realtà, rientreranno solo alla conclusione delle ostilità.
Il 21 maggio i reparti Rainer iniziano scendere sull’altopiano e ad esplorarlo.
Superano locali di deposito italiani, ricoveri per truppa, magazzini, e passano accanto a grandi quantitativi di materiali
e mezzi abbandonati.
Le nostre truppe, si sono ritirate verso la cima del Cimone che intendono difendere ad ogni costo.
Gli austriaci si spingono sull’altopiano fino a Contrà Campana, dove iniziano ad incontrare la resistenza italiana.
Costruiscono trincee, fortini e camminamenti sfruttando la morfologia del territorio.
Non solo, si assestano sulle pendici dello Spitz (Baito Restele), dalla cui cima hanno una vista incredibile sull’intero teatro
delle operazioni che da lì possono coordinare.
Dal 25 al 31 maggio avvengono gli attacchi per la conquista della cima del Cimone.
Il primo scontro avviene proprio la sera del 25 maggio, quando l’8° Divisione del XX Corpo parte da Tonezza e riesce a
conquistare la cima che poi ad intermittenza torna per brevi periodi in mano italiana.
Il 28 maggio gli austriaci avanzano in Val d’Astico e occupano Arsiero.
Dopo la fine della Strafexpedition, il 23 luglio il Battaglione Alpini Val Leogra compie un’autentica impresa alpinistica che
rimarrà nella storia.
Lanciatosi su per un canalone verticale e trasportando perfino una mitragliatrice, con un colpo di mano riesce a
riconquistare il Cimone che rimarrà italiano fino al 23 settembre, quando il maggiore austriaco Albin Mlaker fa scoppiare
una grossa mina che sconvolge la vetta della montagna, facendola saltare in aria.
10 ufficiali e 1118 soldati italiani perdono la vita, sepolti vivi.
Il Cimone e l’Altopiano di Tonezza rimarranno austriaci fino alla fine della guerra.
Tornato al super bivio, seguo a destra il Sentiero Excalibur ancora per un bel tratto nel bosco.
Quando penso mi rimanga ancora da compiere solo una tranquilla e piacevole passeggiata attraverso un fitto e ombroso
bosco, (lo vedo bene da qui) prima di rientrare alla base, ecco che rimango di sasso e mi blocco di colpo.
Vedo bene o soffro di allucinazioni?
Alla mia sinistra, alle spalle di una panchina all’ombra, c’è un piccolo cumulo di rocce.
Fin qui, tutto ok.
Tra queste però spunta una sagoma in legno di un cavaliere medioevale lancia in resta.
Davanti allo stesso, in una roccia…è conficcata una spada!
Mi avvicino.
Non ci credo, è proprio lei, non una spada qualunque ma Excalibur!
Come un bimbo mi cimento anch’io nell’impresa di estrarla.
Tiro e ritiro…uffa, niente.
Va beh, vuol dire che non sarò il futuro Re d’Inghilterra ma di sicuro, come me, chiunque venga qui potrà essere Re per
un giorno di questo regno magico.
Un paesaggio da favola si staglia proprio di fronte ai miei occhi, con monti, prati e pascoli che sembrano inseguirsi in
una gara infinita di varietà e colori.
Anche qui bisognerebbe restare a lungo.
Soprattutto però i bambini andranno matti e rimarranno di certo colpiti da questo insolito e divertente passatempo.
Beh, certo, per ricreare proprio l’atmosfera originale, ad essere pignoli si poteva conficcare la spada in un’incudine, come
leggenda vuole.
Ma anche in una roccia fa la sua figura!
Ora però è giunto il momento di proseguire.
Continuo il percorso accingendomi a camminare nella parte un po’ più selvaggia, proprio sul bordo della Valle della Sola,
che più in basso diventa Valle di Rio Freddo.
Saluto a questo punto la Valle dei Ciliegi che, rimanendo alla mia destra, risulterà d’ora in poi oscurata da un rilievo
roccioso che si innalza e allunga da qui fino a Baita Pontara.
Bastano pochi metri per ritrovarmi in un altro punto storico.
Una trincea sul ciglio del vallone è la testimonianza ancora visibile della guerra.
Devio e scendo qualche metro per osservarla più da vicino, rimanendo deluso in questo caso dal mancato lavoro di
restauro che l’avrebbe di nuovo resa percorribile.
Una lamiera di metallo è stata posta in cima a sostegni di legno di supporto, ma la trincea stessa è praticamente
crollata e oggi invasa dalla vegetazione.
In futuro spero si concentri l’attenzione per ripristinare questi tratti, segni della memoria che non devono scomparire.
Non mi resta che tornare sul sentiero principale, pianeggiante e ombroso, delimitato da una staccionata e da una masiera,
un muretto a secco.
Camminando spensierato nel silenzio del bosco, respirando natura, mi blocco quando arrivo ad un piccolo anfiteatro romano.
L’antica Roma è dunque giunta fino a qui?
Non proprio, anche se a questo punto sono preparato ad ogni tipo di sorpresa.
In realtà questo anfiteatro è stato costruito di proposito proprio per il motivo cui accennavo qualche riga sopra, ossia
ascoltare il bosco e sentire su di sé la natura.
Troppo spesso non vediamo, non ascoltiamo, passiamo (o peggio corriamo) a testa bassa senza renderci conto di ciò
che ci sta intorno.
E intorno c’è un ambiente meraviglioso.
E’ quindi questo un punto didattico e di relax che invita proprio il viandante a fermarsi e respirare profondamente.
Sotto ad un bosco molto fitto di faggi, come riporta la vicina bacheca, si possono osservare a seconda delle stagioni,
varie specie di fiori, come il campanellino (Leucojum vernum), la pervinca (Vinca minor), il bucaneve (Galanthus nivalis),
il ciclamino (cyclamen coum) e altri ancora.
Così come numerose sono le specie di uccelli che qui abitano.
Del bosco si sono serviti gli abitanti di un tempo di queste zone poiché dal legno ricavavano il carbone e, alcune tracce
sparse qua e là (cumuli di terra scura) lo testimoniano ancora.
Solo una volta il bosco è quasi scomparso e cioè durante la guerra quando i soldati lo incendiavano o abbattevano le
piante per avere una visuale più nitida e campo di tiro libero.
Il resto lo faceva l’artiglieria.
Un’altra bella sosta me la concedo volentieri anch’io, ad occhi chiusi.
Ripresa la marcia continuo a seguire il sentiero in direzione di Baita Pontara.
In alcuni punti la traccia qui si restringe, supera qualche radice contorna, si confonde un pochino e riesce ad instillare
qualche dubbio nell’escursionista sul fatto di stare camminando sul sentiero corretto.
Niente paura, è impossibile perdersi e non ci sono deviazioni.
Continuando dritti si arriverà alla meta.
E’ evidente che in questa parte c’è un territorio completamente diverso rispetto a quanto affrontato all’andata, più
selvaggio e che rende il cammino ancora più interessante.
Il sentiero torna a farsi largo poco prima di giungere alla meta.
Una piccola rampa in salita tra il fresco dei faggi, fa da preludio all’arrivo sul retro della baita, nel punto dal quale sono partito.
Più che un cammino, mi sento di definire questo percorso un’esperienza e una fonte di conoscenza che non dovrebbe
mancare nella lista dei luoghi da visitare.
Il miglior modo di impiegare il proprio tempo e di godersi a tutto tondo uno degli scenari storico-naturalistici assolutamente
da preservare.
La giornata purtroppo è finita e lentamente mi accingo a tornare in paese con lo zaino pieno di nozioni nuove.
“Lassù in cima alla radura
un piccolo ciliegio
si è costruito la sua casa.
E il vento d’oriente ricopre
con nuvole bianche di soffici petali
la terra che un tempo
lo ha cullato e protetto”
Relazione e fotografie di: Daniele Repossi
Si ringrazia per la collaborazione fotografica: Davide Allegri (Facebook – Youtube)
I fortini e la trincea austriaca lungo il Sentiero Excalibur
Per difendere e mantenere le posizioni conquistate sull’altopiano, i forti reparti austriaci costruiscono un po’ ovunque trincee,
camminamenti, ricoveri e fortini, come quelli che ancora oggi si possono visitare con due brevi deviazioni dal
Sentiero Excalibur.
Uno stretto passaggio tra le rocce e qualche scalino conducono al primo fortino, ossia ad un piccolo ricovero nella roccia
con una visuale di tiro verso la Valle di Rio Freddo.
Gli alberi, ora fitti, più di cento anni fa non c’erano, abbattuti dai proietti o dai soldati che dovevano avere una visuale
di tiro libera.
Dall’apertura nella roccia usciva la canna di un cannone da 105 mm trasportato faticosamente dagli uomini.
Un altro elemento è giunto fino a noi, cioè una scritta all’interno del fortino impressa sulla roccia e riportante la data in cui
venne costruito.
Il secondo fortino si trova un po’ più in basso, verso il Soglio dei Corvi.
Una grande apertura nella roccia fa da ingresso ad un grande locale che penetra per qualche metro nella montagna ed è
diviso in varie stanze.
Anche da qui, cannoni da 105 mm e mitragliatrici durante la Strafexpedition aprono il fuoco contro gli italiani.
Sulla via di ritorno si può vedere una grande trincea che oggi andrebbe maggiormente valorizzata.
La vita in questi luoghi alternava momenti tranquilli ad un vero inferno.
I primi erano possibili se di turno in posti più tranquilli, dove il nemico non si faceva sentire.
Ecco allora che gli uomini passavano il tempo a leggere la posta e chiacchierare, augurandosi che nulla potesse
venire a turbare la quiete.
Ma anche qui le sofferenze erano atroci quando si abbatteva un grande e più temibile avversario, il gelido inverno.
La neve, i congelamenti, la mancanza di viveri ed equipaggiamento non adeguato facevano desiderare ai soldati che il
tempo passasse molto in fretta.
L’inferno invece si aveva ovviamente alle trincee del fronte, dove si combatteva sotto il fuoco delle artiglierie e non si
sapeva se si sarebbe fatto ritorno nelle retrovie.
Più o meno i turni venivano cambiati ogni 15 giorni, un tempo comunque molto lungo dove anche d’estate piogge,
temporali, aria fredda e malattie debilitavano i corpi e le menti.
La trincee sono il simbolo della Grande Guerra e le nostre montagne ne sono piene.
Trincee larghe, più “comode” ma anche veri e propri cunicoli dove si faceva fatica a passare in 2 o a stare in uno dei
tanti posti di osservazione.
Alla fine, in una trincea, il destino di un soldato era in mano alla sorte.
Note: il percorso didattico escursionistico più famoso di questo altopiano, è davvero breve ed elementare così che tutti
lo possano percorrere.
I bambini si divertiranno un mondo a camminare tra le prie, correre intorno ad uno stagno, osservare piccoli animaletti
(come scoiattoli) e provare ad indovinare le numerose specie botaniche presenti.
Senza parlare della vera attrazione, la spada nella roccia, Excalibur!
Chi sarà il nuovo Re d’Inghilterra?
Per i più grandi, l’interesse riveste la parte storica dato che in questi luoghi gli austriaci durante l’occupazione
dell’altopiano nel 1916 hanno scavato trincee, camminamenti e fortini nella roccia, ancora oggi visitabili.