Balmenhorn (Cristo delle Vette) 4.167 m. – Bivacco Giordano 4.161 m.
(Italia – Valle di Gressoney)
trekking superlativo nel cuore del Monte Rosa tra immensi ghiacciai e cime famosissime, la salita è da considerarsi alpinistica
Località di partenza: Staffal, Valle di Gressoney
Quota di partenza: 1.840 m.
Quota di arrivo: 4.167 m. (quota max. Balmenhorn)
Dislivello: 1.236 m. (dislivello positivo dal Passo dei Salati)
Posizione: il Balmenhorn è un’elevazione rocciosa posta nel cuore del massiccio del Monte Rosa dove è
collocata la statua del Cristo delle Vette
Qualche metro più in basso si trova anche il Bivacco Felice Giordano
Difficoltà: A (F) [scala dei livelli delle difficoltà]
Ore: 8h a/r (dal Passo dei Salati fino al ritorno a Punta Indren)
Periodo: da metà giugno a metà settembre
Attrezzatura richiesta: imbrago, longe, corda, piccozza, ramponi, casco e abbigliamento tecnico da alta quota
Discesa: lungo il lato orientale del Balmenhorn fino al Colle del Lys,
poi per la via di salita fino alla stazione a monte di Indren e quindi a Staffal con gli impianti
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli
“Oggi cosa farai di bello?”
Questa la domanda che l’albergatrice di Gressoney mi rivolge mentre attraverso la hall dell’hotel con la cartina
in mano, diretto alla mia auto.
Sono in forma, ho dormito benissimo e il sole fuori splende.
Non posso più aspettare.
“Sto partendo per un’avventura!” rispondo lei con un sorriso.
No, non mi chiamo Bilbo Baggins, non sono al servizio di una strampalata combriccola di nani e in mano non ho
un contratto da scassinatore.
Stringo nel palmo solamente la mia fidata cartina topografica, alla quale poco fa ho dato un’ultima occhiata prima di
partire verso una montagna che, pur non essendo solitaria dimora di un drago e contesa da cinque fazioni come
descritto in “Lo Hobbit”, impressiona per altezza e severità di ambienti incutendo anche un po’ di timore.
Sto parlando del Monte Rosa.
Perché timore?
Perché il mio obiettivo di oggi sarà andare a scoprire quali meraviglie si nascondono lassù, a più di 4000 metri, e
quando si parla di queste quote bisogna tenere conto di tutto, meteo e terreno in primo luogo.
A seguire vengono poi quota, fatica e orientamento.
La via di salita che mi sono prefissato è quella classica frequentata dalla maggior parte delle persone,
nonché la più facile per entrare nel mondo dei ghiacci e dell’alpinismo in generale.
Il Monte Rosa, dal versante della Valle di Gressoney, rimane infatti il più abbordabile.
Salirò quindi nuovamente ai rifugi Mantova e Gnifetti (qui la descrizione del percorso) per poi proseguire
ancora verso l’alto finché potrò.
Sinceramente non mi sono prefissato una meta, anche perché non avendo mai affrontato un simile itinerario
non so come il mio corpo risponderà.
Parcheggio dunque ancora a Staffal e con l’impianto raggiungo dopo circa mezz’ora il Passo dei Salati.
Conosco a memoria il tragitto verso il Rifugio Mantova e, senza avvalermi dell’ultimo troncone della funivia
di Punta Indren, ripasso sotto le rocce dello Stolemberg fino a raggiungere il Ghiacciaio d’Indren in un percorso che
ritengo sempre tra i più affascinanti delle Alpi e a torto trascurato.
Rispetto alle altre volte in cui sono stato qui, oggi c’è molta gente, e questo certamente per via della magnifica giornata
(almeno fino ad ora), anche se qualche nube inizia già a sopraggiungere.
Sui vari percorsi che dalla Indren partono, osservo diversi “trenini” di persone.
Verso la Punta Giordani, in risalita per il Ghiacciaio d’Indren e verso il tratto attrezzato che risale poco a
monte del Rifugio Mantova.
Questa volta per raggiungere quest’ultimo opto per il percorso più facile, oggi però per buona parte innevato.
Tolgo quindi i ramponi alla fine del ghiacciaio, ma solo per entrare per qualche minuto a fare visita nuovamente a
questa magnifica struttura, già alle 8:30 brulicante di gente.
Il panorama è sempre grandioso, immenso e lascia ogni volta a bocca aperta.
Rutor, Gran Paradiso, Monte Bianco con un oceano di vallate e monti fino all’orizzonte.
Ritengo sempre che non raggiungere posti così sia un delitto.
Alle spalle del rifugio si spalancano le porte di un mondo fantastico e di una bellezza disarmante.
La Piramide Vincent, in primo piano, sembra uscire da un mare bianco e innalzarsi fino in cielo.
Molte persone in fila indiana salgono ai suoi piedi come formichine, pronte a dividersi un po’ più in alto verso
le mete più disparate.
Un’isola rocciosa in un oceano di ghiaccio
La via di salita all’inizio è unica e conduce verso il Colle del Lys, dove anch’io sono diretto.
Sulla terrazza del Rifugio Mantova controllo accuratamente tutta l’attrezzatura e lo zaino, rimetto i ramponi, e con la
piccozza in mano mi dirigo verso la base della Piramide Vincent.
Supero per prima cosa una fascia di roccette e nevai, un tratto di misto poco pendente fino al limitare del
ghiacciaio del Garstelet.
Eccitazione, gioia, adrenalina ed emozione si fondono insieme non appena metto il piede di nuovo sul ghiaccio.
Questa volta il tragitto sarà molto più lungo rispetto alla salita compiuta solo un anno fa fino al Rifugio Gnifetti.
La giornata è bellissima, non c’è un alito di vento e le condizioni sono perfette per questo tipo di escursione.
Certo, devo sempre considerare che nonostante la molta gente che sale, io sono da solo e quindi non legato.
Dovrò fare la massima attenzione e soprattutto guardare bene dove poggiare i piedi, anche lungo questa via obbligata rappresentata dalla traccia calpestata.
Parto e il cuore inizia a pulsare con maggior intensità, alternando il suo tum-tum con il cric-croc dei ramponi sul ghiaccio.
Inizio a salire con un passo regolare, il primo pendio non è difficile, ma aumentando la pendenza la quota inizia
a farsi sentire.
Lascio sulla sinistra la traccia che taglia il Garstelet e porta al Gnifetti e procedo dritto.
Ora la progressione è più faticosa e i passi si accorciano.
Non ho mai camminato a quote così elevate e devo anche verificare la risposta del mio corpo.
Non sono certo venuto quassù da sprovveduto, nei giorni scorsi ho messo nelle gambe un bel po’ di dislivello,
ma certamente non a queste altezze.
Man mano che salgo, sempre col sorriso (come potrei non esserlo in un luogo così), vedo che le gambe reagiscono
sempre meglio.
Concentrato lungo la via di salita, ogni tanto mi guardo intorno.
Sono quasi all’altezza del Rifugio Gnifetti in uno scenario che ha dell’incredibile.
Sto bene e mi interessa solo avanzare il più possibile per scoprire almeno una parte delle meraviglie, che si
nascondono nel cuore del Monte Rosa.
Come una calamita vengo attratto verso l’alto, è come se la montagna mi chiamasse con una voce dolce e melodiosa.
Quassù mi sento in pace e intorno a me ho tutto ciò di cui ho bisogno.
Camminare sapendo di contare solo sul proprio zaino, ora la mia casa, mi regala una sensazione unica e mi fa riflettere
riguardo un mondo che si trova molto più in basso, pieno di frivolezze, comodità superflue e inutilità.
Mi sembra di tenere un buon passo per essere la prima volta, ma non ci faccio caso.
Continuo a ripetermi che stando bene non sarebbe male salire almeno fino al Colle del Lys, (visibile ma ancora
lontanissimo) e riuscire tranquillamente a scendere in giornata.
Mi accorgo della mia andatura forse troppo sostenuta, solo quando all’ultimo istante appoggio le mani sullo zaino di un
alpinista davanti a me per evitare di andarci a sbattere.
È un ragazzo spagnolo, anche lui sorpreso di vedermi dietro.
Mi spiega, in un misto tra italiano e spagnolo, di avermi visto partire dal rifugio, ma che non si sarebbe aspettato che
fossi già qui.
“Sei salito davvero forte” mi dice.
“Non ci ho fatto caso, è che mi sento bene oggi” rispondo io “e vorrei salire ancora un po’”.
Anche lui è da solo, e così succede una cosa meravigliosa che giù nelle città ormai è estinta.
Ci presentiamo, (lui si chiama Albert), scambiamo qualche parola e insieme decidiamo di procedere formando una cordata.
Albert ha con sé una corda da 30 metri e in men che non si dica, siamo legati entrambi in tutta sicurezza.
Questi gesti uniti alla disponibilità di condividere una salita, un viaggio, supportandoci e aiutandoci a vicenda
mi riempiono l’anima di gioia, rimandandomi alle descrizioni di salite raccontate dai più famosi alpinisti in quel dell’Himalaya.
Se non è un’avventura questa!
Albert mi spiega di aver lasciato a valle la sua famiglia, e di essersi preso un giorno libero per andare
a camminare in quota.
Riprendiamo la marcia con lui davanti qualche metro rispetto a me, e arriviamo allo sperone del Gnifetti, senza toccarlo.
Una traccia scende dalla parte opposta di questo rifugio e si ricongiunge alla sella in cui ci troviamo noi.
Qui una coppia, marito e moglie, sta litigando in quanto il primo vorrebbe salire dove andiamo noi, mentre la moglie,
esausta, vorrebbe scendere.
La donna sta farneticando qualcosa riguardo le idee del marito sull’alta montagna e sullo sforzo secondo lui non eccessivo.
Penso che ora, come in un fumetto, nella nuvoletta sopra la testa della moglie ci siano solo dei teschi…
Ci guardiamo l’un l’altro mettendoci a ridere per questo siparietto, prima di proseguire sui nostri passi.
Durante la progressione rimango costantemente a bocca aperta guardando a destra e a sinistra.
Ghiaccio, seracchi e crepacci giganteschi di una bellezza folgorante.
Tutto brilla al sole, acceca.
Un mondo bellissimo che sembra provenire da un altro pianeta.
Camminiamo al centro di una specie di canalone che conduce al Colle del Lys, tra il Naso del Lyskamm e
la Piramide Vincent.
Qualche nube giunta in sordina sta lentamente avvolgendo queste cime, ma lo spettacolo cui assistiamo è uno
dei più grandi al mondo.
Raggiungiamo qualche cordata che ci precede che superiamo per procedere spediti verso la nostra destinazione,
ancora lontano e parecchio più in alto.
Tutto procede bene, gambe, muscoli, respirazione e lo stesso mi sembra anche nel mio compagno, a circa
10 metri davanti a me.
La traccia è ben marcata e sicura, ma spesso passiamo su esili ponti di neve con il vuoto ai lati che mette i brividi.
Per fortuna tengono anche se vengono calpestati da tutti.
Altre volte siamo costretti a piccoli balzelli per oltrepassare piccole fenditure, che solo qualche metro più in là si spalancano
in vere voragini.
Impressionante da togliere il fiato.
È solo voltandoci che capiamo la distanza percorsa, già notevole.
Il Rifugio Gnifetti quasi non si vede più, le nubi salgono in fretta e un po’ di nebbia qua e là inizia a calare.
Di fronte a noi c’è ancora il sole e una marea di gente in fila indiana intenta a rimontare questo colle.
Passiamo sotto ad altri enormi seracchi che scendono dalla Piramide Vincent, ancora al sole e molto
più in alto rispetto a noi.
Un crepaccio un po’ più grande ci costringe ad un salto un po’ più impegnativo che alternativamente facendo
sicura con la piccozza affrontiamo.
Da qui in poi il ghiaccio cambia e i pericoli relativi a questi buchi terminano.
Al Colle del Lys c’è parecchia gente, tutti intenti a studiare la direzione da prendere su questo comodo pianoro
ghiacciato posto a 4.000 metri.
Una traccia verso destra conduce alla Vincent e al Balmenhorn, (via che prenderò al ritorno dopo aver raggiunto
quest’ultimo), mentre la via davanti a noi porta al Cristo delle Vette (che vediamo nettamente), e più oltre
alla Punta Gnifetti dov’è collocata anche la Capanna Regina Margherita.
C’è anche una traccia a sinistra, è vero, ma solo a guardarla mette paura.
Infatti, sale e si impenna fino a portare sulla cresta punto di partenza per la traversata dei Lyskamm, un gruppo di
tre cime (Occidentale, Centrale, Orientale), compatte e affilate alla loro sommità come lame di rasoi.
Ai loro piedi il Naso, elevazione minore e un po’ buffa se vogliamo, ma per come lo vedo io, davvero notevole e di tutto rispetto.
Ho raggiunto con questo colle la meta che poco dopo i rifugi più in basso mi ero preposto, ma non avendo problemi di
quota o stanchezza, chiedo ad Albert il da farsi, non nascondendo il mio interesse per quella statua del Cristo della Vette
posta in cima al Balmenhorn, un’isola di roccia che si innalza dal ghiacciaio.
E poi non è tardi.
Basta uno sguardo per capire il suo stesso desiderio a raggiungere quelle rocce.
Insistiamo quindi sul percorso in linea retta fino ad aggirare verso ovest un piccolo gruppo di cime messe una in fila all’altra.
È appunto il Balmenhorn, e sulla vetta posta più a nord si innalza questa statua in ferro del Cristo delle Vette.
Meraviglioso, rimango ipnotizzato.
Albert sembra capire la mia impazienza di raggiungere quel luogo, e punta verso un ripido pendio in quella direzione.
Nell’avvicinarmi vedo una corda a penzoloni che dalla statua scende sulle rocce lungo un tratto verticale, e spero
vivamente che quella non sia la via di salita.
Non credo proprio di essere in grado di arrampicare su roccia in quel modo.
Testa e cuore iniziano a minacciare un ammutinamento.
Rimontiamo questo pendio ghiacciato fino a portarci su una specie di colletto in linea d’aria all’opposta cresta dei Lyskamm.
Ciò che vedo mi paralizza e mi impressiona, facendomi forse rimpiangere quella corda a penzoloni.
La piccola cima con la statua è lì di fronte a me, solamente che per raggiungerla occorre passare su un’esile crestina
di ghiaccio esposta su entrambi i lati e risalire (coi ramponi), qualche staffa di ferro sulla roccia.
Non tanto per i pioli, ma la cresta mi da molto da pensare.
Non è in fondo molto diversa dal pezzo superato più in basso sotto lo Stolemberg, ma più lunga sicuramente, e da
affrontare legato, come sono, con i ramponi e la piccozza che non troverà un pendio nel quale essere conficcata per
fare presa.
Albert mi guarda con un grande sorriso, lo vedo come me raggiante per essere arrivati fin qui e in neanche molto tempo.
Non avendo problemi di esposizione, lui ovviamente si interroga sulla mia esitazione.
D’altronde vede un ragazzo che sembra chiedergli con lo sguardo “Ma proprio di qui dobbiamo passare?” e se non vi
siano altri modi per salire.
“Quieres ir adelante?” mi domanda.
Sì, vorrei andare avanti e salire in cima, ma il vuoto su entrambi i lati e la traccia sottile mi rendono titubante.
Mentre dentro di me esplode un po’ di tutto (gioia, felicità ma anche paura), cerco di spiegargli tutto questo aiutandomi
con le parole che conosco in tre idiomi diversi, assemblando frasi in un mix un po’ sconclusionato di italiano, inglese e spagnolo.
“No debes tener miedo, solo mira bien adelante de ti y mantente enfocado” mi dice (non devi avere paura, guarda
solamente bene davanti a te e resta concentrato).
Io intendo tutto tranne l’ultima parola, (che scoprirò al mio ritorno a casa) e al momento non riesco proprio a capire il
perché debba io essere infuocato per camminare li sopra.
In effetti, caldo fa caldo per essere a quasi 4.300 metri e sono d’accordo, ma non penso c’entri molto con le sue parole.
Come più in basso, prendo un bel respiro e un passetto dopo l’altro, un po’ accucciato, piantando sempre la piccozza
davanti a me, avanzo puntando gli occhi sempre sul sentiero fino a toccare la roccia.
La salita sui pioli di ferro non è un problema, ma credo che due anni di vita in meno, persi lo siano.
Lo spagnolo è contento in quanto ancora dal basso lo sento esultare al mio arrivo.
Sotto la statua del Cristo delle Vette ci scambiamo i complimenti e facciamo foto senza esserci accorti di un
fatto non molto bello.
Intorno a noi non si vede più nulla.
Le nubi e le nebbie sono arrivate lasciandoci senza visuale.
A malapena vediamo il Bivacco Giordano posto qualche metro più in basso rispetto alla statua.
Bivacco che raggiungiamo dopo qualche metro di discesa tra roccia e ghiaccio aiutandoci con un canapone.
Questi scommetto siano i posti in prima fila per uno spettacolo immenso sulla maggior parte del Rosa, ma ora è
già tanto se ci vediamo a vicenda.
Il bivacco infatti ha un piccolo terrazzino esterno affacciato un po’ nel vuoto, direttamente sopra il ghiacciaio del Lys e
di fronte alla Piramide Vincent.
Certamente lo spettacolo che si parerà davanti non avrà prezzo, ma questo possiamo solo immaginarlo.
In compenso una temperatura così calda a questa quota non me la sarei mai aspettata.
Indosso solo una maglietta a maniche corte e un leggerissimo pile/windstopper sopra e ancora ho caldo.
Se la montagna ha il cappello, il tempo non è bello.
Ritorniamo sui nostri passi scendendo nuovamente i gradini e poggiando i piedi sulla crestina.
Questa volta la percorro con molta più disinvoltura, ma sarà per il fatto che non vedendo nulla, non percepisco
nemmeno il vuoto ai lati.
Tornati al colletto Albert mi saluta all’improvviso lasciandomi spiazzato.
Io sono diretto verso valle, mentre lui è deciso a proseguire…nel nulla.
La sua decisione mi stupisce dato che ora il tempo è davvero pessimo.
Non vedere nulla a queste quote e continuare a salire sul ghiacciaio con tutti i pericoli oggettivi non è certo raccomandabile.
Non so davvero dove possa andare e convincerlo a desistere è inutile.
Altra gente si appresta a tornare, e lui va nella direzione opposta.
Lo ringrazio e mi separo con dispiacere.
Dopo qualche metro lo vedo sparire inghiottito da una nebbia fittissima.
Al colletto c’è un gruppo diretto anch’esso verso il basso e, si spera, verso il sole.
Scenderemo per il versante orientale tutti insieme, ma il fatto di essere l’unico non legato deve farmi mantenere la
concentrazione a livelli altissimi.
Non si vede nulla, solo la traccia davanti a me per qualche metro.
Lascio andare avanti il gruppo e mi metto in coda, scendendo lungo un pendio piuttosto facile, fino a portarmi al colle
che divide il Balmenhorn dalla Piramide Vincent.
Continuo a seguire la traccia verso il basso e verso il Colle del Lys, col gruppone che non perdo di vista e che
mantengo a 5 metri, la distanza in cui vedo ancora qualcosa.
Ogni tanto più avanti spunta qualche puntino scuro nella marea bianca, non appena la nebbia molla un po’.
Sono persone impegnate anche loro nella discesa.
Nessuno sale, e io penso sempre se Albert se la stia cavando.
Lascio andare avanti il gruppo fermandomi un momento al colle.
Spero in un miglioramento del tempo che non avviene, non per salire di nuovo, ma per affrontare una discesa
con maggiore sicurezza.
Sono da solo e devo fare ancora un po’ di strada, anche se ogni tanto sopraggiunge qualcuno.
Poco sotto il Colle del Lys vengo raggiunto da un gruppo guidato da un guru della montagna, un vero e proprio “luminare”.
Queste figure si divertono a girare per i monti non desiderando altro che riprendere qualcuno alla prima occasione,
approfittandone a tale scopo per elargire tutta la loro “sapienza”.
Molto più di una guida alpina e molto più di un alpinista estremo o un maestro di sci, questi individui non solo si
considerano ad un livello superiore, ma ritengono anche che ogni cosa facciano gli altri sia sbagliata.
Sono davanti al gruppo che vede il sapientone in testa e all’ostacolo più insidioso rappresentato da quel crepaccio
piuttosto largo incontrato anche all’andata, il quale ha obbligato noi e altri ad un piccolo salto.
Così ripeto l’operazione dandomi un po’ di slancio e superando l’ostacolo pur senza la sicura di un compagno.
L’avessi mai fatto….
Il guru mi raggiunge superando il crepaccio allo stesso modo, mi supera e mi dà del matto per aver messo in pericolo
tutto il suo gruppo.
Inizia poi una lunga spiegazione da parte sua sul modo di scendere e di camminare, lui che guida alpina non è.
Nel mentre vedo tutti gli altri fare la stessa operazione, cioè un piccolo salto.
A sentire lui potevamo sprofondare tutti nel crepaccio ma questo solo per il mio salto, l’unica cosa che si possa fare
mancando un ponte di neve solido.
Non perdo nemmeno tempo a discutere con gente così e li invito a proseguire.
Meglio la discesa da soli e con calma piatta.
Così faccio e lentamente procedo stando sempre sulla traccia.
In alcuni punti la pendenza è davvero notevole, e più in basso sono costretto a camminare con ancora più cautela per
via di alcuni ponti di neve.
Giunto alla sella del Rifugio Gnifetti, di insidie non ve ne sono più, e con tranquillità mi avvicino al Rifugio Mantova.
Solo adesso le nubi si allargano un po’ lasciandomi almeno scorgere, ancora lontana, la sagoma del rifugio.
Qualche timido raggio fa capolino mentre attraverso più in basso il Ghiacciaio di Indren, ma ovunque insistono nubi
nere alquanto minacciose.
Un classico della zona e dell’alta montagna che spesso alterna mattinate limpide a pessimi pomeriggi.
Ecco perché le cime vanno raggiunte la mattina partendo spesso di notte.
Anche stavolta, dato il meteo, a Punta Indren sono costretto a prendere gli impianti per il mio ritorno a Staffal.
Farsi sorprendere sullo Stolemberg magari da un temporale non è quello che ci vuole.
Nella cabinovia, mi rendo conto di tutto il percorso affrontato oggi, delle difficoltà, delle insidie e della fatica che
comporta l’alta montagna, ma anche di una soddisfazione e una gioia impossibili da spiegare se non si è stati almeno
una volta lassù.
Come gli alpinisti vengono attratti da questi ambienti duri, ostili e non adatti alla vita per l’uomo, anch’io oggi lo sono stato,
ma forse lo sono stato sempre.
In questa giornata ho capito di più questo mondo di ghiaccio, mi sono fuso con esso e trovato me stesso,
fino ad essere un tutt’uno con la montagna.
Ho condiviso la fatica e lo sforzo, trovando il supporto e un’amicizia insperata.
Ho provato una gioia infinita, felicità ed emozioni uniche, ma anche paure e timori (e trovo che sia giusto così).
In due parole, ho vissuto.
Vi sono infiniti motivi che uno può avere per tornare sempre lassù.
Tra questi, e lo capisco meglio ora, anche quello di un certo George Mallory quando alla domanda
“perché vuoi scalare l’Everest?” rispose: “Perché è lì”.
Relazione e fotografie di: Daniele Repossi
Note: trekking superlativo nel cuore del Monte Rosa tra immensi ghiacciai e cime famosissime.
La salita, pur priva di difficoltà tecniche oggettive, è da considerarsi alpinistica in quanto dal Rifugio Città di Mantova in
poi avviene su ghiacciaio che, fino al Colle del Lys, risulta in alcuni punti crepacciato.
Il Balmenhorn si raggiunge infine percorrendo un’esile lingua di ghiaccio e salendo per alcune staffe di ferro
infisse nella roccia.
Se non esperti e in gruppo è consigliabile una guida.