Monte Rust – Osservatorio Austroungarico – 1.282 m. (Italia – Trentino)
escursione semplice e meta obbligata per tutti coloro che hanno visitato i forti austriaci degli Altipiani Cimbri
in quanto da questo Osservatorio si coordinavano tutte le operazioni delle varie fortezze
Località di partenza: parcheggio presso il Lago di Lavarone
Quota di partenza: 1.079 m.
Quota di arrivo: 1.282 m.
Dislivello: 203 m. (dislivello totale positivo)
Posizione: l’Osservatorio si trova sulla cima tondeggiante del Monte Rust, un rilievo di quota modesta isolato e
boscoso, accanto al Lago di Lavarone.
La posizione centrale dell’Altopiano di Lavarone rendeva questo punto estremamente strategico per coordinare le
operazioni di guerra
Difficoltà: E [scala dei livelli delle difficoltà]
Segnaletica: senza numerazione
Ore: 2h (anello completo)
Le ore non tengono conto della visita alle rovine dell’Osservatorio e di eventuali soste
Distanza: 4,8 km
Tipo di terreno: asfalto, ghiaietto, sentiero, strada sterrata
Periodo: tutto l’anno (preferibilmente in assenza di neve)
Acqua lungo il percorso: nelle strutture presenti sulle rive del Lago di Lavarone
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Ritorno: prendendo dalla cima inizialmente in direzione di Carbonare e quindi svoltando ad un bivio
verso la frazione di Chiesa
Da qui per pochi chilometri verso sud si rientra al parcheggio presso il lago compiendo un anello
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli
Tecnicamente in breve
Dal parcheggio presso il Lago di Lavarone 1.079 m. si scende per pochi metri verso il Lido Bertoldi e quindi si svolta a
sinistra camminando per un buon tratto sul lungolago (via Lago).
Giunti all’estremità sud dello stesso si svolta a destra verso il Lido Marzari.
Si passa alle spalle del bar per arrivare sulla strada retrostante, dalla quale si risale qualche metro tagliando sull’erba
per uscire sulla stradina che porta all’Hotel Al Lago.
Da qui, seguendo le indicazioni per Monte Rust, si imbocca la strada militare che sale nel bosco e giunge poco prima
della cima ad un bivio.
Ignorando la deviazione sulla destra che scende a Chiesa, si continua dritti nel bosco fino a giungere in corrispondenza
di un altro bivio dove si svolta questa volta a sinistra per l’Osservatorio.
La strada aggira da dietro la montagna passando accanto ad un’enorme caverna, oggi chiusa con delle sbarre.
Poche centinaia di metri ancora e si arriva all’Osservatorio austroungarico di Monte Rust 1.282 m.
Dalla cima si ridiscende al bivio e si svolta a sinistra per Carbonare.
Al bivio successivo, prendendo a destra per Chiesa, si arriva a valle sulla statale poco a nord dell’Hotel Monte Rust.
Da qui continuando lungo l’asfalto (via Trento), si prosegue fino ad un incrocio dove girando a destra per via Roma,
si entra nel paesino di Chiesa.
Poco oltre il centro del paese sulla destra, si segue la strada che scende ad un enorme parcheggio, per poi tagliare di
nuovo a destra per i campi lungo una piccola collinetta e scendere verso il Lago di Lavarone, poco sotto al parcheggio.
L’Altopiano di Lavarone è diventato oggi una gettonatissima meta turistica e le motivazioni sono tante.
Una zona abbastanza tranquilla, ad una quota non troppo elevata, ma sufficiente in estate a garantire un po’ di
respiro rispetto all’afosa pianura.
Piccole frazioni e borghi poi puntellano il territorio in mezzo a ricchi boschi e a rilievi modesti, che comunque consentono
di godere di un ottimo panorama.
Poi c’è lui, il protagonista dell’opera che ogni anno attira sempre più persone: il lago.
Un bel laghetto prealpino che però oggi è stato preso d’assalto da lidi balneari e costruzioni un po’ invasive.
Passeggiate lungolago, tra i paesi e i negozietti, giochi per i bambini sulla spiaggia e tanti bagni nei mesi più caldi.
Come restare indifferenti?
Noi, appassionati di montagna e di storia possiamo esserlo, ma non per tutto quanto descritto sopra.
Ad interessarci è proprio una montagnetta insignificante e interamente ricoperta dalla vegetazione che nasconde anche
il piatto panettone sommitale.
Il rilievo in questione è proprio quello che chiude il lago verso ovest, una giungla che quasi tutti ignorano.
Perché è tanto importante?
Per le testimonianze storiche della Prima Guerra Mondiale ovviamente.
Se l’ascesa e il giro ad anello qui descritto rimangono una piacevolissima passeggiata di mezza giornata, ciò che
si trova sulla cima rappresenta invece un complesso di fondamentale importanza storica.
Gli austroungarici avevano infatti eletto questo monte per installarvi un Osservatorio con tutti i locali e i ricoveri in
caverna, col quale coordinare l’azione dei loro forti dislocati su questi Altipiani.
Un centro nevralgico delle operazioni estremamente importante, che ora andremo a visitare.
Parcheggiata l’auto in uno dei grossi parcheggi (a pagamento) poco sopra al lago, mi dirigo verso la sua riva.
Ormai, lungo le sponde est e sud, quelle più “morbide” e turistiche, non c’è più nemmeno un centimetro di terreno libero
per andare a toccare l’acqua.
Lungo le rive sono sorti da tempo bar, lidi e stabilimenti balneari.
Solo il versante ovest rimane in un certo qual modo selvaggio e senza spiagge: c’è il ripido versante boscoso di
Monte Rust che scende fin sulla riva!
Ma prima o poi scommetto che l’uomo per il business colonizzerà anche questa parte.
Mi porto presso l’ingresso del Lido Bertoldi dal quale verso sud corre il lungolago dove la gente passeggia tranquillamente
con bambini, cani e biciclette.
Una bella passeggiata, ma con il panorama un po’ rovinato da tutte queste costruzioni.
Il nome del viale è quantomai azzeccato: viale Gradiva.
Magari una volta, quando il posto era più “naturale”.
Al termine del lungolago svolto a destra per il Lido Marzari tenendo di fronte il boscoso Rust.
La strada sterrata mi porta a passare a fianco al bar per arrivare sul retro lungo una sottile lingua d’asfalto.
Qui risalgo per pochi metri sull’erba fino a giungere su un’altra strada, quella che conduce all’Hotel Al Lago.
Sono già ad un bivio con indicazioni evidenti per l’Osservatorio austroungarico.
Finalmente lascio le spiagge e il vociare delle persone, e mi butto a capofitto in un bel bosco di latifoglie sulla vecchia
strada militare che saliva alla postazione.
Subito la pendenza si fa sentire: davanti a me uno strappo molto ripido mi aiuta a spezzare il fiato.
Il lago non si vede più.
Sono nel fitto della vegetazione circondato da pioppi, betulle e un’infinità di felci di ogni forma e dimensione.
Bellissimo!
E finalmente col silenzio del bosco.
Mentre cammino cresce la mia curiosità per scoprire il tipo di avamposto costruito sulla cima.
Sarà una struttura di forma circolare e di dimensioni abbastanza ridotte?
Avevo visto forti, trincee, gallerie, caverne e sbarramenti ma un osservatorio mai.
Sempre larga e ben tenuta, questa strada risale il versante del monte più o meno in modo lineare, affrontando solo
un paio di curve.
Giunto ad un primo bivio tralascio sulla destra la strada che scende alla frazione di Chiesa, che raggiungerò al ritorno
percorrendo un altro itinerario.
Seguo ancora per un po’ la militare fino ad un altro bivio ricco di segnaletica.
Monte Rust è indicato a sinistra e, dopo aver percorso ancora qualche metro, mi trovo di fronte una parete rocciosa
dove ai piedi sono state ricavate due grandi caverne.
Probabilmente erano depositi per le artiglierie e munizioni o magari si trovava qualche ricovero per le truppe; in ogni
caso purtroppo, entrambe sono sbarrate da inferriate di ferro che precludono l’accesso.
Un grande peccato non consentire la visita al pubblico…
Spingendo la frontale tra le sbarre, noto nella caverna più grande una diramazione sulla destra, forse un altro
ricovero o una galleria più lunga che si ricollega con le strutture sulla cima.
Resta la grande delusione di non scoprirlo.
Non mi rimane che continuare a seguire la strada che aggira la montagna verso destra, rimontandone gli ultimi metri di
dislivello da dietro.
Un cartello mi segnala la meta, sono all’Osservatorio austroungarico di Monte Rust, sulla piatta cima.
Due cose mi fanno rimanere a bocca aperta: una per lo stupore nel vedere il complesso che mi trovo di fronte e l’altra per
la rabbia di vedere lì accanto due alti ripetitori moderni.
Soprassedendo a quest’ultimo elemento e cercando di non guardare in questa direzione, mi concentro sull’avamposto
di guerra eretto in questo luogo.
Altro che piccola struttura circolare!
Questa era un’autentica postazione di osservazione e di difesa all’occorrenza, con i vari locali di servizio, qualche
ricovero, una galleria e un bastione difensivo.
Dei locali interni purtroppo non resta in piedi molto, ma ben si distingue la loro divisione.
Tutta la struttura è liberamente visitabile, galleria compresa.
Manca la copertura, come in tutti i ricoveri e baraccamenti non restaurati: tranne che nei forti, in cemento o in
calcestruzzo armato, era sovente impiegare per questa il legno che poi si catramava.
Su di un pannello in legno dovrebbe esserci affisso un manifesto con la storia di questo avamposto, ma purtroppo
lo trovo spoglio.
Nessuna indicazione, è davvero un grave errore non valorizzare una testimonianza simile.
L’Osservatorio austroungarico di Monte Rust
Questo complesso di osservazione, eretto dagli austriaci in una zona lontana dai campi di battaglia, assunse durante
la “Guerra dei Forti” uno scopo fondamentale: da qui, dietro le disposizioni del Comando austroungarico dei Virti
(poco distante), si coordinava l’azione di tutte le fortezze degli Altipiani.
Era in pratica un centro nevralgico per le comunicazioni tra i forti.
Queste durante il conflitto avvenivano principalmente mediante il telefono e il telegrafo, strumenti per i quali occorreva
però stendere chilometri di cavi nel terreno.
Proprio nel timore che questi potessero venire tranciati dalle artiglierie, gli austriaci idearono un sistema di comunicazione
basata su segnali ottici e, spesso, anche piccioni viaggiatori.
Questa stazione di osservazione era dotata di proiettori elettrici che venivano infissi in appositi fori circolari nei muri
(tubi ottici), orientati esattamente in direzione dei forti.
Ancora oggi, in alcune stanze, si possono chiaramente vedere questi fori cilindrici che attraversano le pareti.
Ma come avvenivano le comunicazioni?
Mediante segnali luminosi utilizzando il codice Morse.
Una soluzione, quella dei tubi, meno appariscente e più difficile da intercettare da parte del nemico.
Questi tubi forano la parete che però non dà direttamente sull’esterno, ma in una piccola galleria, dalla quale veniva
irradiata un più forte fascio luminoso.
Geniale.
Certamente allora non c’era la vegetazione presente oggi, ed eventuali alberi venivano tagliati proprio per favorire
tale scopo.
Monte Rust comunicava quindi direttamente con i Forti Cherle, Sommo Alto, Dosso delle Somme, Belvedere,
Luserna, (nell’avamposto Oberwiesen dov’era l’altro osservatorio), Busa Verle e Cima Vezzena.
il complesso dell’avamposto austroungarico
Dopo un’accurata visita “interna”, risalgo una brevissima traccia fin sulla sommità dell’opera, unico punto dove la
vista può spaziare a 360°.
A terra, infatti, gli alberi precludono quasi del tutto il panorama.
Verso sud-ovest si estende l’Altopiano di Folgaria dove sul Dosso Cherle risalta l’omonimo forte.
Più ad ovest, nell’immediato fondovalle ben visibile c’è il paese di Carbonare.
Ancora, verso nord-nord-est, si vedono molte frazioni dell’Altopiano di Lavarone, il Monte Cimone e, molto
più lontano, Cima Vezzena dove sorge “l’Occhio dell’Altopiano”.
Scendendo e passando sul lato nord dell’Osservatorio, si vedono bene i due piccoli cunicoli dai quali usciva
il fascio luminoso.
Proprio sotto uno di questi, appoggiato alla staccionata che guarda la sottostante strada militare, mi fermo per una
piccola pausa pranzo.
Lungo questa strada ogni tanto sale qualcuno, a piedi o in mountain-bike.
Di certo questo rilievo sarebbe del tutto trascurabile in mancanza di questa postazione di osservazione.
Al ritorno verso valle, raggiungo nuovamente il bivio poco sotto la cima dove prendo per Carbonare.
La strada scende con pendenza costante e, come all’andata, si rivela una bellissima passeggiata nel bosco.
Ad un nuovo bivio svolto a destra per Chiesa, uscendo a valle sul bordo di un bel prato verde dove c’è anche
un parco giochi.
Sono a pochi metri dall’Hotel Monte Rust che raggiungo in breve.
Di nuovo sul marciapiede lungo via Trento, che seguo in direzione di Chiesa e del Lago di Lavarone.
Lascio dopo un po’ la Provinciale per prendere Via Roma ed entrare nella frazione di Chiesa.
Ad un incrocio vengo attratto da una bacheca riportante, tra le altre cose, alcuni pensieri e due leggende che mi sento di
riportare al termine del racconto.
Un’idea originale e simpatica!
Da questo incrocio in centro paese, continuo a seguire via Roma verso destra, fino a raggiungere un grande parcheggio
dove sulla sinistra parte un sentierino, che per prati si porta verso il lago lungo la cresta di una collinetta.
Ormai manca poco, ancora un breve tratto in discesa nel quale mi attraversa la strada un simpatico scoiattolo, e sono
di nuovo al punto di partenza dove recupero l’auto.
Un’escursione molto facile che si compie in mezza giornata, assolutamente consigliata a chi volesse approfondire la
storia della prima Guerra Mondale nella zona, e capire meglio il grande sbarramento austriaco degli Altipiani Cimbri.
“Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori,
ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare”.
Albert Einstein
Le leggende di Lavarone
La Frau Pertega
Sulla sommità del Monte Belem, viveva il Willmann con la moglie, la Frau Pertega.
Era questa una donna alta e sgraziata con i capelli arruffati e unti.
Seppur non vecchissima, aveva il viso segnato da profonde rughe e grosse sopracciglia indurivano il suo sguardo.
Indossava una lunga gonna ormai lisa sugli orli, una giacca sformata da uomo, uno scialle di lana infeltrita e le
sgalmere (scarpe con la suola di legno) ai piedi.
Strana lo era davvero la Frau Pertega, un po’ stupida e un po’ scaltra, amava la solitudine dei boschi, ma non voleva
rinunciare ai convegni tra donne.
Quando era arrabbiata se la prendeva con i bambini capricciosi.
Pur in tutta la sua sporcizia, la donna amava l’odore della lisciva (bucato), e quando ne sentiva il profumo subito
accorreva.
Quella volta le donne di Magrè s’erano riunite come al solito per il bucato.
Avevano messo le lenzuola nella grande tinozza, le avevano cosparse di cenere di legno di faggio e versato sopra
l’acqua bollente.
Dovevano lavare tre giorni per il bucato.
All’improvviso saltò fuori la Frau Pertega che a tutti i costi voleva mettersi anche lei a lavare, ma le donne non
desideravano proprio la sua compagnia.
Allora la santola, (la madrina), Giannelle ebbe un’idea: “Aiuta me, per favore, va alla fontana a prendere l’acqua” e
così dicendo porse alla Frau Pertega un cesto ed un mestolo pieno di buchi.
La donna andò alla fontana, ma tenta e ritenta l’acqua non riusciva a raccoglierla.
Quando capì lo scherzo, a grandi passi si diresse verso la casa dove ridendo si erano rifugiate le lavandaie.
La Frau Pertega mandava i suoi scongiuri, ma non poteva avvicinarsi al portone perché l’odore della spranga di
legno di eghel (maggiociondolo), che chiudeva l’uscio era per lei insopportabile.
Con rabbia la donna entrò nella botteguccia di un calzolaio, attratta dall’odore della pekar (pece), con la quale l’uomo
ammorbidiva le stringhe delle scarpe.
Il calzolaio, quando se la vide davanti così grande e arrabbiata, le tirò un martello sul muso.
-Oh, meine nase Willmann!
Oh meine nase Willmann! –
gridava la Frau Pertega mentre tornava verso i boschi e decideva che non sarebbe mai più scesa in paese.
La leggenda del Becco di Filadonna
Un tempo sulla cima del Becco di Filadonna, viveva un gigante brutto, con
la barba lunga e nera, le spalle larghe e un vocione grosso e cavernoso.
Tutti avevano paura di lui.
Quando scendeva nel paese di Carbonare, le donne lo evitavano e i bambini, vedendolo arrivare, si nascondevano.
Sua moglie era ancora più brutta e cattiva.
Passava le giornate filando la lana che il marito le portava.
Vivevano con i proventi di questo lavoro, ma si arricchivano sottraendo parte della lana che veniva consegnata
loro dai pastori.
La gente pensava che fossero brutti proprio perché erano disonesti.
In una misera casa di Carbonare viveva una donna con un bambino piccolo, graziosissimo.
Ella, vedova da due anni, era povera e si manteneva lavorando a giornata, ora per un contadino, ora per un altro,
ricevendo in cambio dell’orzo, delle patate e del latte con cui poteva sfamare il suo bambino.
Con molti sacrifici la povera donna era riuscita a comperare un’agnellina, dalla lana morbida e finissima, che ogni sera
portava a pascolare lungo il ciglio dei sentieri.
Un giorno d’ottobre, la vedova fece tosare la pecora e consegnò la lana al gigante per farla filare dalla moglie.
Ormai l’inverno si avvicinava ed era il momento di preparare le calze e le magliette per il figlioletto.
Dopo qualche tempo, l’omone riportò la lana filata alla povera donna, ma lei, guardando i gomitoli, capì di
essere stata ingannata.
Infatti la quantità di lana filata ricevuta, era inferiore rispetto a quella grezza consegnata e la qualità più scadente.
Ciò nonostante, ella si guardò bene dal lamentarsi e pagò ugualmente il gigante.
Quando si fece notte, la donna si inginocchiò davanti al quadro della Madonna e la pregò a lungo per ottenere giustizia.
Allora Iddio non riuscì ad accettare che i due avessero derubato perfino quella povera vedova e li castigò.
La filatrice dal cuore di pietra venne pietrificata.
Fu una fine crudele, ma non ne meritava una migliore.
In primavera dei cacciatori, salendo sulla montagna, notarono che si era formata una roccia nuova; assomigliava alla
figura di una donna che filava.
Il gigante non venne più visto in paese, ma si racconta che sia caduto in un crepaccio.
Ancora oggi sulla cima del Becco di Filadonna si può riconoscere nella roccia il profilo di una donna che fila.
“Le grandi catastrofi naturali reclamano un cambio di mentalità che obbliga ad abbandonare la logica del puro
consumismo e promuovere il rispetto della creazione”.
Albert Einstein
Note: escursione breve, molto facile su una montagna di quota modesta e boscosa che si eleva immediatamente
sopra al Lago di Lavarone.
Una meta obbligata per tutti coloro che hanno visitato i forti austriaci degli Altipiani Cimbri in quanto da
questo Osservatorio si coordinavano tutte le operazioni delle varie fortezze.
Relazione e fotografie di: Daniele Repossi
Si ringrazia per la collaborazione fotografica: Davide Allegri (Facebook – Youtube)