Narbona 1.532 m.
– il borgo montano abbandonato dal 1960 e lasciato in balia del tempo che passa –
– trekking da Colletto a Narbona –
(Italia – Valle Grana)
entrare in quello che resta delle case, e scoprire che al loro interno ci sono ancora parte degli arredi, ci ha commosso e
ci ha fatto tornare indietro di 100 anni. La vita in questo luogo bellissimo, ma isolato e “aggrappato” su un ripido pendio
e senza elettricità, non dev’essere stata facile. Qui contava solo l’essenziale.
Località di partenza: fraz. Colletto di Castelmagno 1.294 m. (Valle Grana)
1° Punto intermedio: Arpausa d’i Mort, (Posa dei Morti)
2° Punto intermedio: Pilone di Narbona
3° Punto intermedio: località “I Moulinét” 1.410 m.
Punto di arrivo: Narbona 1.532 m.
Quota di partenza: 1.294 m.
Quota di arrivo: 1.532 m.
Dislivello: circa 238 m.
Posizione: Valle Grana con partenza dalla piccola frazione di Colletto di Castelmagno (CN)
Difficoltà: E [scala delle difficoltà]
Ore: 1h 10 minuti per il percorso che da Colletto di Castelmagno conduce a Narbona
e all’incirca stessa tempistica per il ritorno
Periodo: da metà aprile a metà ottobre (previa verifica delle condizioni di innevamento e della
stabilità del manto nevoso)
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Segnavia: n° R9
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli
Narbona è un borgo di montagna che si trova in Valle Grana, un angolo selvaggio del cuneese che si estende e si
inerpica fino ai 2.679 m. di Punta Tempesta.
Questa vallata isolata e scarsamente frequentata, regala degli scorci naturali bellissimi, e custodisce tra i suoi ripidi
pendii antiche tradizioni, tramandate da secoli.
Qui si percepisce il valore puro della montagna, fatta di cose semplici, dove l’essenziale è la regola, dove il silenzio
è una costante, e dove tutto è scandito dalle stagioni che cambiano e si avvicendano nel corso dell’anno.
La relazione di oggi, la voglio illustrare in modo differente dal solito.
Questa volta, il mio racconto incomincia dal punto di arrivo e non da quello di partenza, cercando di trasmettere
al meglio cosa ho trovato, e cosa è stato nel lontano passato questo borgo, incastonato tra le ripide pareti rocciose.
Le scarse informazioni disponibili e la poca documentazione che è arrivata fino ai nostri giorni, non permettono
di risalire con precisione al periodo o alla data in cui Narbona è stata costruita.
E’ possibile solo fare delle supposizioni e si ipotizza che la sua fondazione si aggiri attorno al 1.500
Il nome originale non era neanche questo, bensì Arbouna che deriva dal termine “Arbou” (albero),
italianizzato successivamente in Narbona.
Questa borgata di Castelmagno, sorge su un vallone laterale, quasi “aggrappata” a un pendio ripidissimo che la sorregge
da secoli, ed è avvolta da un fitto bosco.
La sua particolare posizione l’ha sempre protetta dalle valanghe e dalle slavine invernali, che tuttavia l’accerchiano,
perché su entrambi i lati sono presenti due ripidi canaloni.
Se da una parte Narbona nel corso dei secoli è stata solo lambita dalle valanghe, questa sua posizione l’ha anche
sempre isolata per alcuni mesi all’anno, dal resto del mondo.
Qui non ci sono strade, l’unica “via di accesso” è un sentiero che parte da Colletto.
L’energia elettrica non è mai arrivata, rendendo questo insediamento piuttosto inospitale e la vita di tutti i giorni
non era certo facile.
Pensate che l’allevamento del bestiame e in particolare delle mucche, avveniva quasi esclusivamente all’interno
delle stalle, perché il terreno così scosceso, ha sempre rappresentato un’impossibilità per le bestie di quella taglia,
di muoversi con disinvoltura.
Tuttavia Narbona è stata una delle frazioni più popolate della zona, arrivando a oltre 150 abitanti, con tanto di
scuola elementare e chiesa con il prete.
Ma perché molte persone hanno deciso di venire a vivere fin quassù, in una condizione di quasi estremo isolamento?
Non ci sono riscontri certi, ma sembra che Narbona sia stata costruita da valligiani in fuga dalla peste,
avvenuta nel 1522 e negli anni compresi tra il 1630 e il 1631.
Questo paese inospitale, ha salvato molte persone, in un periodo in cui sia la Valle Maira che la Valle Grana,
vennero decimate dall’epidemia, facendo restare pochissimi abitanti.
Vivere a 1.445 m. di altitudine e senza alcun comfort, ha dimostrato la capacità dell’uomo ad adattarsi alle
dure regole alpine.
Un’economia fondata principalmente sull’allevamento del bestiame e sulla coltivazione e vendita della canapa,
successivamente rivenduta agli abitanti di altri borgate, ha permesso ai residenti di questo villaggio, di mantenere
una vita dignitosa e decorosa.
Un sistema di rudimentali teleferiche, ha facilitato per lungo tempo la movimentazione delle merci, lungo i ripidi pendii.
Il forno del paese, tuttora ben visibile, consentiva di cuocere e sfornare il pane caldo: un lusso non da poco…
E perché poi, dopo qualche secolo sono andati via tutti, abbandonando questo borgo al suo inesorabile destino?
Beh, le condizioni di vita che questi posti impongono, hanno influito sicuramente sulla scelta.
I lunghi inverni, vissuti quasi solo più dagli anziani residenti, hanno reso particolarmente difficile la sopravvivenza,
senza le braccia forti e generose dei giovani.
Ma la nevicata del 1960 che ha superato abbondantemente il metro di neve, isolando totalmente Narbona, e
la successiva valanga che ha sfiorato le case, senza fare danni, ha però spazzato via definitivamente anche la voglia
di restare lì, e insieme sono “volati via” anche oltre tre secoli di vita montana.
I pochi abitanti restati, abbandonarono per sempre le loro case, trasferendosi nei paesi limitrofi.
L’assenza di manutenzione, il tempo che inesorabilmente scorre, le intemperie, gli atti vandalici e i furti,
hanno messo la parola “fine” alla vita di questo paese, che oggi con il crescente declino degli edifici, ha trasformato
Narbona in un “borgo fantasma”.
Noi siamo andati a vedere quello che rimane di questo paese.
Abbiamo percorso le vie, risalendo spesso cumuli di macerie e a nostro rischio e pericolo, abbiamo lentamente
aperto le porte delle case, per capire, osservare e immaginare come un tempo oramai lontano, si viveva qui.
Abbiamo cercato di visitare ogni angolo di questo borgo.
Siamo restati stupiti e scioccati, dal trovare a distanza di decenni, ancora “parti e pezzi” di vita vissuta.
La chiesa Madonna della Neve di Narbona, ha i suoi banchi in legno ricoperti di polvere e il suo altare.
All’interno di quello che rimane delle abitazioni, abbiamo trovato le sedie, delle casse contenenti bottiglie vuote di vino,
i letti in ferro battuto, i materassi rigonfi di umidità, degli abiti, delle coperte.
Alcune credenze prive di cassetti, alcuni armadi con dentro barattoli di vetro, mensole, bottiglie, vecchie tinozze di legno.
I numeri civici scritti sulle porte di legno, scardinate e cadute, dopo il cedimento dei perni di sostegno.
Vecchi arredi, qualche piatto e qualche scodella appoggiate sui davanzali delle finestre prive dei vetri.
Qui tutto si è fermato all’anno 1960
E anche se il decadimento ha preso ampiamente il sopravvento, sembra quasi che queste case stiano ancora
attendendo il ritorno del legittimo proprietario, dove tutto è stato lasciato così com’era.
Ci siamo aggirati in un ambiente spettrale, dove il silenzio è stato l’unico rumore che siamo riusciti a percepire.
Abbiamo realizzato alcune riprese con il drone, cercando di documentare al meglio quello che resta di questo posto,
che andrebbe in qualche modo recuperato.
Il crollo inesorabile dei muri delle case, dei tetti, delle travi, dei tramezzi, che avvengono anno dopo anno,
portano via anche delle intere parti di storia del nostro paese.
Sarebbe un vero peccato perdere questi ricordi, questi patrimoni storici della vita montana di questi luoghi che
rappresentano un patrimonio italiano.
Ma il tentativo di sopravvivenza di queste case, (alcune delle quali oramai ridotte a “ruderi senza speranza”),
si scontra con gli ingenti fondi finanziari che andrebbero investiti per un tentativo di recupero.
Gioca a sfavore anche l’isolamento di questa borgata, che se da un lato rappresenta un pregio, dall’altro rappresenta
un problema, a causa del sentiero percorribile solo per pochi mesi all’anno.
Narbona è stata concepita per isolarsi dal mondo e fuggire dai suoi pericoli.
L’’abbandono del villaggio è oramai quasi irreversibile, ed è legato allo svuotamento delle terre alte.
Un ringraziamento va all’Associazione Culturale Arvinca che insieme ai suoi volontari, hanno ricostruito il tetto e salvato
dalla rovina la chiesa Madonna della Neve di Narbona.
Parliamo di un gruppo di sognatori, che con impegno, ha fortemente voluto conservare ciò che ancora restava.
Un sentimento di amore per la cultura e la civiltà di questi luoghi, e anche un sentimento di rispetto per la storia passata.
E’ giusto mantenere la memoria degli abitanti di questo luogo impervio.
Narbona è purtroppo il simbolo dello svuotamento e dello spopolamento delle nostre montagne e anche del destino
di moltissime altre borgate montane.
Le case costruite con maestria, in un delicato equilibrio verticale, sono parzialmente crollate, nel silenzio e nell’indifferenza
di una società troppo impegnata nella “rincorsa quotidiana del futile” e nell’alzare muri in una pianura congestionata
e soffocata dal cemento.
La speranza è che altre mani si prendano cura di questi muri così fragili, ma così importanti nel racconto
di ciò che è stato.
Ma come si arriva a Narbona?
Il punto di partenza del trekking di oggi, è il piccolo parcheggio della frazione Colletto di Castelmagno.
Colletto è raggiungibile risalendo in auto la strada provinciale SP112 che lasciamo quando arriviamo
in prossimità del paese, andando a prendere lo stretto e tortuoso tratto di asfalto, con curve a gomito che in pochi
minuti ci permette di raggiungere l’abitato.
I posti macchina disponibili sono 5 o 6, ma gli abitanti della borgata, a noi risulta siano solo 2 o 3…
e non dovreste avere difficoltà di parcheggio.
A piedi si scende per pochi metri la strada asfaltata e un cartello posto sulla destra indica la traccia da seguire
per raggiungere Narbona.
Dopo qualche minuto lasceremo il tratto asfaltato per prendere il sentiero.
Il segnavia di oggi riporta la numerazione R9 che si addentra in una fitta foresta.
Uno sguardo all’indietro ci permette di vedere la frazione Colletto di Castelmagno dalla quale siamo partiti.
Superiamo la Arpausa d’i Mort, (Posa dei Morti), dove un tempo venivano posate le salme in attesa della benedizione,
per poi essere portate al cimitero.
Si raggiunge poco dopo una piccola cappella che troviamo sulla sinistra (Pilone di Narbona), che apre la visuale
sulla Valle Grana.
Da qui è ben visibile il tracciato a mezza costa che attraversa il lato ovest del vallone che andremo a percorrere.
Il sentiero è ben segnalato, e sale dolcemente, ma essendo un lungo traverso su pendio, non è consigliabile
percorrerlo dopo intense nevicate, per l’elevato rischio di valanghe e slavine.
La traccia R9 che stiamo seguendo, vi accoglierà e vi accompagnerà con le orchidee di montagna.
Il versante sinistro e destro della vallata, scendono ripidi verso il fondovalle dove scorre il Torrente Narbona che
costeggeremo per tutto il tragitto, guardandolo laggiù in basso, nella sua conca.
In alcuni punti un cavo in acciaio, agevola il passaggio in prossimità di tratti di leggera esposizione, facilmente
superabili e senza difficoltà.
Bisogna solo prestare attenzione nell’oltrepassare eventuali placche di neve, residue di slavine precedentemente cadute.
Ci si addentra così nel cuore di questa vallata isolata, poco battuta dagli escursionisti, fino a raggiungere
la località “I Moulinét” 1.410 m. che precede di poco l’ingresso nel borgo dimenticato di Narbona 1.532 m.
Il percorso di rientro verso Colletto, nel nostro caso, è stato lo stesso affrontato all’andata.
E’ tuttavia possibile fare un giro ad anello che ci siamo promessi di andare ad esplorare in una delle prossime uscite
in queste zone isolate e particolarmente piacevoli.
Quando arriverete a Colletto di Castelmagno, prima di ripartire, andate a visitare il piccolo museo che raccoglie i vecchi
oggetti usati dagli abitanti di Narbona.
Un “ritorno a un passato lontano”, che ci permette di vedere e di immaginare come si viveva un tempo,
quando l’essenziale era parte integrante della quotidianità.
Relazione, fotografie e riprese video di: Michele Giordano e Elfrida Martinat
Note: è possibile raggiungere Narbona, solo in assenza di neve, in quanto i ripidi pendii rappresenterebbero
una pericolosa insidia.
Il sentiero R9 è ben tenuto, ben segnalato e ben tracciato.
Questo borgo ubicato nell’Alta Valle Grana isolato su uno scosceso pendio, versa da decenni in condizioni
di totale abbandono.
Purtroppo il tempo che trascorre, le condizioni atmosferiche e l’assenza di manutenzione, hanno fortemente danneggiato
le case in pietra, dove al loro interno sono ancora presenti parte di quello che resta degli arredi: quasi come
se stessero aspettando il rientro dei legittimi proprietari.
Affascinante e spettrale.
Un sogno potrebbe essere quello di ridare vita, e recuperare un patrimonio dell’architettura tradizionale,
oltre che un patrimonio storico montano e nazionale.
Trekking appagante in una vallata solitaria e isolata, ma ricchissima sotto tutti i punti di vista emozionali e paesaggistici.