Rifugio Città di Arona 1.770 m. (Italia – Alpe Veglia)
conca meravigliosa di origine glaciale, uno dei pochi luoghi rimasti non raggiungibili in auto (e d’inverno nemmeno a piedi)
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Località di partenza: Ponte Campo, Val Cairasca
Quota di partenza: 1.319 m.
Quota di arrivo: 1.770 m.
Dislivello: 451 m.
Posizione: nel Parco Naturale dell’Alpe Veglia (comune di Varzo) ai piedi del Monte Leone
Difficoltà: E [scala dei livelli delle difficoltà]
Ore: 2h 45’ a/r
Periodo: dal mese di maggio maggio a fine ottobre
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Discesa: per la via di salita
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli
Alpe Veglia. È questo il luogo che il caso ha scelto per me, o meglio, lo ha fatto il sole, per una due giorni di
escursioni in cui salirò al Rifugio Città di Arona e su due cime nei dintorni, il Pizzo Diei e il Monte Cistella.
Due giorni, infatti, è il periodo di tempo che avevo a disposizione per fare qualche bella gita in montagna,
proprio lo stesso periodo in cui il maltempo decideva di imperversare lungo l’intero arco alpino.
Di stare in casa ad aspettare neanche a parlarne e così, bollettino meteo alla mano, mi sono messo letteralmente
ad inseguire l’unico raggio di sole, l’unico luogo dove la pioggia non sarebbe caduta.
La nostra stella più luminosa alla fine ha deciso di illuminare proprio l’Alpe Veglia, una zona in cui tra l’altro
non ero mai neanche stato.
E così eccomi in partenza per la Val Cairasca che raggiungo nel primo pomeriggio dopo essere uscito
dall’autostrada Gravellona-Toce, e aver percorso la Val Divedro.
Ora mi trovo qui nei pressi di San Domenico, un paesino poco più in alto di Varzo, in un pomeriggio
di sole e per nulla incerto.
Non sono partito presto questa mattina sapendo che il tempo si sarebbe mantenuto instabile fino a metà giornata,
almeno stando alle previsioni che non sono risultate veritiere.
Sono circa le16:30, troppo tardi per un’escursione, ma non troppo tardi per muovere qualche passo.
Sistemo in poco tempo le mie cose nell’alloggio che ho prenotato e, zainetto in spalla, sono pronto a partire.
C’è un bellissimo sole ma anche un vento molto forte.
La direzione che decido di prendere è quella per l’Alpe Veglia (la più breve e logica), un luogo di cui
ho sempre sentito parlare.
Si trova infatti nel medesimo Parco Naturale, dominata ad ovest dal Monte Leone, e tutt’intorno da cime che
superano i 3.000 metri di quota.
È inoltre uno degli ultimi luoghi di natura selvaggia e incontaminata in Italia.
La via principale di accesso, che parte dalla Piana di Nembro in località Ponte Campo, si sviluppa attraverso
la “forra del Groppallo”, una gola scavata col tempo dal torrente Cairasca con rocce alte fino a 400 metri.
I pendii in destra orografica di questa gola, sono stati intagliati dall’uomo con una stradina sterrata in origine e ora
lastricata lungo la quale però non salgono i mezzi a motore (tranne quelli degli addetti ai lavori e dei rifugi) e
lungo la quale d’inverno non si sale neanche a piedi.
Il percorso infatti passa sotto le rocce strapiombanti della Costa di Valgrande, molto pericoloso e continuamente
spazzato dalle valanghe.
Percorro a piedi un lungo tratto di asfalto da San Domenico a Ponte Campo, dove la strada finisce e si trova un
parcheggio per le auto (a pagamento).
Pensando non vi fosse più posto e vedendo la carreggiata molto stretta, ho deciso di lasciare ferma l’auto in paese e
muovere solo i piedi, allungando il tragitto di qualche chilometro.
A Ponte Campo, o a Pian del Nembro come si chiama anche questo luogo, vi sono solo poche baite, qualche
alpeggio e una bellissima cascata.
Peccato che qui d’estate la zona è sempre molto affollata e il parcheggio auto stracolmo.
Imbocco un piccolo sentiero sulla destra oltre il ponticello che passando praticamente per il cortile non cintato
di una casa si inerpica per un verde pendio cosparso di erba, cespugli e qualche grosso masso.
Risalgo con pendenza via via maggiore questi pochi tornanti, fino a ricongiungermi sulla carrozzabile principale
e percorribile solo dalle jeep autorizzate che conduce verso l’Alpe Veglia.
Non sono ancora molto in alto ma, pur essendo al tramonto, il sole illumina ancora le cime della Val Cairasca di fronte
a me, sotto le quali è adagiato il bel paesino di San Domenico.
Sono il Pizzo Diei, il più alto, il Monte Cistella, subito alle sue spalle e il Pizzo della Stella davanti a loro.
Nonostante l’ora incontro e supero ancora un po’ di gente, anche se coloro che scendono sono la maggioranza.
Cammino su questa stradina lastricata con strappetti che rompono un po’ il fiato, percorrendo una lunghissima
mezza costa sotto i pendii rocciosi della Costa di Valgrande.
Salgo sempre di più ed entro letteralmente in questa gola, la “forra del Groppallo”, dominata molto più in basso dal
torrente Cairasca che scorre impetuoso e dalle severe pareti rocciose della Punta Maror.
C’è molto vento e quassù, tra queste pareti, mi spinge letteralmente indietro come se non volesse farmi avanzare.
In teoria avrei dovuto fare solo qualche passo e tornare indietro, ma guardando l’orologio vedo che è passata solo
un’oretta e ho ancora un po’ di margine.
Vuoi vedere, mi dico, che arrivo all’Alpe Veglia e torno in tempo per la cena?
E se non sbaglio lassù vi è anche un rifugio…
Non penso alla meta e non corro, non lo faccio mai in quanto non è il mio stile di andare per i monti.
Cammino, a passo sostenuto.
Incontro sulla strada un nutrito gruppo di caprette intente a riposarsi e ad osservarmi nei miei movimenti.
Sono bellissime, riesco a fotografare anche due piccoli che giocano tra di loro.
Non si spostano, sono abituate al traffico di persone e, cosa insolita, non sono nemmeno curiose e non mi vengono vicino.
Continuo a salire passando sotto a qualche bella cascata che scende alla mia sinistra, e superando un’ultima
rampa molto ripida, arrivo alla Cappella del Groppallo dove il percorso alterna tratti in piano ad altri in discesa e
aggira la bastionata rocciosa di Valgrande, portandosi verso la Conca di Veglia.
Sullo sfondo, sempre sotto ad un bel sole, si apre una magnifica vista sul Pizzo Taramona e sulla Punta del Rebbio
(alle sue spalle) entrambe ricche di canaloni ancora imbiancati.
Che vento però, a volte lo sento ululare e devo voltarmi per riuscire a respirare.
Incredibile.
In ogni caso ormai sono arrivato sin qui, sarebbe un peccato non proseguire e non andare a vedere oltre.
Inizio a fare più che un pensiero al rifugio.
Con passo deciso arrivo alla piana dell’Alpe Veglia dove la carrozzabile diventa sterrata.
Per ammirare meglio questo luogo, avanzo ancora un po’ e mi ritrovo in un piccolo boschetto di larici e arbusti dove
tra un ramo e l’altro scorgo le possenti cime che chiudono questa conca.
A dominare la scena l’incredibile mole del Monte Leone.
La salita e la fatica sono finite ormai, così come miracolosamente anche il vento.
In questo enorme pianoro verdeggiante trovo le indicazioni per molti sentieri che portano oltre a più distanti laghi e passi,
anche a piccoli nuclei di baite e alpeggi.
Bellissimo e caratteristico il borgo di Cianciavero ubicato su verdi prati al confine del bosco sotto la mole del Monte Leone.
Io però ho pochissimo tempo e devo calcolare poco più di un’ora per la discesa.
A malincuore oggi non posso perdermi come vorrei e andare a scoprire gli angoli più selvaggi dell’Alpe Veglia.
Mi guardo in giro a 360 gradi, i miei occhi fanno il pieno di tutta questa meraviglia studiando il territorio.
Cime altissime, prati verdi, boschi, piccole baite sparse qua e là e ruscelli ovunque.
Un luogo che imprimo nella mente.
Vengo attratto da un puntino giallo non molto distante da me.
Deve per forza essere il Rifugio Città di Arona, che avevo visto segnato sulla cartina.
Non prevedevo certo di riuscire ad arrivare fin qui in così poco tempo, ma che gioia!
In circa quindici minuti lo raggiungo, percorrendo un piccolo sentiero in mezzo ai boschi, superando il
torrente Cairasca passando un ponticello e risalendo gli ultimi pendii erbosi fino ad arrivare sulla sua terrazza.
Poco prima del rifugio mi fermo solo per ammirare la grande cascata della Frua che si trova proprio lì accanto,
la quale sarà per me una futura meta.
Al rifugio c’è ancora molta gente che probabilmente ha optato per il pernottamento.
Mi faccio un po’ largo per raggiungere il posto migliore per scattare qualche foto.
Da questa posizione il Monte Leone è tutto visibile, altissimo e impressionante, si eleva a guardiano di questi alpeggi
che solo d’estate riprendono vita.
Alla mia destra vi sono invece le sopracitate Punta del Rebbio e Pizzo di Taramona, mentre alle spalle del rifugio
il bosco non lascia scorgere molto panorama.
Starei qui ancora ore ad indentificare ruscelli, baite e cime o a studiare possibili nuovi percorsi di salita,
ma il tempo a mia disposizione è scaduto.
Mi lancio quindi in discesa, sempre senza correre, per i morbidi pendii dell’Alpe Veglia, fino a ricongiungermi
con la carrozzabile che mi riporta a San Domenico.
In realtà c’è un altro sentiero più panoramico che conduce a valle, il Sentiero dei Fiori che passa sotto la Punta Maror, ma ora è troppo tardi e allungherei troppo il rientro. Sono quasi le 19 e non c’è più nessuno in giro. Incontro invece a circa metà di questa strada ancora le caprette che ora sono tutte in marcia e intente a risalire fino all’alpe. Finita la loro giornata di lavoro, o meglio di riposo e di giochi, eccole lì tutte in fila indiana come in una lenta processione.
Non mi attardo oltre lungo questo tratto in cui il vento imperversa ancora con tutta la sua forza.
Di fronte a me, ancora con un ultimo raggio di sole, brillano il Pizzo Diei e il Monte Cistella indicandomi chiaramente
l’escursione che effettuerò domani.
Relazione e fotografie di: Daniele Repossi
Note: facile e piacevole escursione adatta a tutti alla piana dell’Alpe Veglia.
Conca meravigliosa di origine glaciale e uno dei pochi luoghi rimasti non raggiungibili in auto (e d’inverno
nemmeno a piedi).
Notevoli i panorami verso la Val Cairasca e i monti del comprensorio Veglia-Devero dominati dal Monte Leone.