Rifugio Eugenio Margaroli 2.194 m. – Passo Nefelgiù 2.583 m.
(Italia – Val Formazza)
si percorre la bellissima Val Vannino e l’austero Vallone del Nefelgiù con panorami e scorci sempre diversi e tutti meravigliosi
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Località di partenza: Ponte Formazza, stazione a valle seggiovia Sagersboden.
Quota di partenza: 1.285 m.
Quota di arrivo: 2.583 m. (quota max. Passo Nefelgiù)
Dislivello: 1.298 m.
Posizione: il Rifugio Margaroli si trova in Val Vannino (Val Formazza) su un dosso all’Alpe Vannino e
vicinissimo all’omonimo lago
Il Passo Nefelgiù si trova nel vallone di Nefelgiù alle spalle del rifugio, tra la Punta dei Camosci e il gruppo
dei Corni di Nefelgiù (orientale, centrale ed occidentale)
Difficoltà: E (EE con lingue di neve residua) [scala dei livelli delle difficoltà]
Ore: 7h 30’ a/r
Periodo: da giugno a fine settembre
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Con neve richiesti ramponi e bastoncini
Discesa: per la via di salita.
Previa organizzazione logistica è possibile compiere un anello scendendo verso la diga del lago di Morasco
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli
Per questa toccata e fuga di un giorno di tarda primavera ho scelto una meta nei monti ossolani,
in Val Formazza e precisamente il Rifugio Eugenio Margaroli.
Ho già fatto qualche gita nella zona ma molti rifugi li devo ancora visitare e fra questi rientra proprio il Margaroli.
Ho preparato come sempre il mio zaino e l’attrezzatura caricandone il giorno prima una parte in auto.
Essendo nevicato molto quest’anno e fino a tarda primavera, so per certo che incontrerò neve, se non lungo
il percorso almeno nei pressi del rifugio.
Un paio di bastoncini e dei ramponi sono quindi d’obbligo.
Mi sveglio molto presto la mattina, come sempre del resto quando affronto escursioni in giornata, e in un
niente sono già seduto al posto di guida pronto a partire.
Il viaggio risulta piacevole anche perché verso le sei del mattino le auto sulle autostrade sono ancora pochissime.
Percorro la Gravellona-Toce e la superstrada del Sempione sempre in assenza di traffico e svolto
quindi per la Val Formazza.
Raggiungo con calma l’abitato di Ponte Formazza dove parcheggio presso la stazione a valle della
seggiovia del Sagersboden.
Il percorso ufficiale e più morbido partirebbe da Canza, poco più avanti, dove un sentiero conduce in circa
un’ora e mezza alla stazione a monte degli impianti del Sagersboden.
Dalla cartina però ho notato che dal luogo dove ho parcheggiato, si può salire in maniera più diretta alla
suddetta stazione, prendendo la seggiovia (che oggi è chiusa) o percorrendo la pista da sci.
Premettendo che non avrei preso comunque l’impianto anche se fosse stato in funzione, non mi resta che
sperimentare questa mia variante, più all’insegna dell’esplorazione e dell’avventura e non segnata da alcun sentiero.
Appena sceso dall’auto mi accoglie una giornata un po’ ventosa e incerta dal punto di vista del meteo.
Non appena prendo la direzione per la pista da sci, mi viene incontro una bambina che con molta insistenza
mi “vieta” di salire su questa, indicandomi i tornelli della seggiovia (che comunque non è in funzione).
“Ho già deciso di salire a piedi” le dico io e con molta gentilezza la saluto.
Dopo qualche metro la sento ancora ripetermi lo stesso motivetto ma ormai sono partito, non mi volto più e salgo.
La prima rampa è lunga e non posso nemmeno dire che è ripida. È proprio un muro!
Solo qua e là vi sono dei solchi formati probabilmente dal passaggio di qualche mezzo a motore,
ma perlopiù la traccia non esiste.
Di questo ovviamente non mi preoccupo, sono su una pista da sci e so che rimontandola per intero arriverò
alla stazione a monte da dove poi proseguirò per il rifugio.
Superato il primo strappo posso dire di aver rotto fiato e gambe; il pendio si addolcisce un po’ lasciandomi vedere
un bel panorama sul paesino da cui sono partito e i monti alle sue spalle.
Di contro mi ritrovo nell’erba alta e fra grosse zolle di terra, e in questo modo avanzo fino a risalire svariati altri muri.
Sarà anche un po’ più diretta questa salita, ma molto dura e faticosa dove però il panorama si mantiene
sempre interessante.
Mi fa sempre un certo effetto risalire le piste da sci e questa non è certo la prima per me.
Ora sono da solo lungo questi pendii e questi curvoni dove in pochissimi, si sognerebbero di percorrere salite
così se possono essere evitate.
Mi immagino quindi la scena di questa pista tutta innevata, piena di gente che va nella direzione opposta e
a tutta velocità, inanellando corse su corse mentre io salgo.
Ad ogni modo, lo sci di pista non è la mia idea di intendere la montagna.
Percorse così però, queste rampe mi attirano e trovo tutta questa fatica piacevole.
D’inverno non mi sarebbe di certo possibile una salita in mezzo ad un tracciato, schivando proiettili.
Le salite con le ciaspole, infatti, sono quasi sempre vietate.
Mi godo quindi le ultime rampe fino ad arrivare in un vasto pianoro erboso nel quale vi sono due baite di legno e,
poco distante quasi nascosta dagli alberi, la stazione a monte del Sagersboden a 1.772 metri.
Devo assolutamente fare una piccola pausa per cambiarmi, anche se non sono nemmeno a metà percorso.
La mia maglietta la strizzo letteralmente!
Trovandomi in una radura in mezzo ad un bosco, ho un po’ la visuale chiusa sul comprensorio.
Solo qualche punta rocciosa emerge dal fitto del bosco, in direzione della Val Vannino verso la quale mi dirigo.
Un cartello mi informa dell’apertura del rifugio e della tempistica, circa un’ora e mezza da dove mi trovo.
Imbocco una mulattiera sterrata in mezzo al bosco che sale subito molto ripida, anche se la pendenza è minore
rispetto al tratto appena percorso.
Una serie di tornanti mi porta in una piccola radura uscita da non so quale libro fantasy.
Abbandono per due minuti la direzione principale per addentrarmi maggiormente in questo angolo sperduto.
Mi ritrovo ai margini del torrente Vannino che qui forma una piccola pozza limpida dalla quale le sue acque fuoriescono
formando piccole e bellissime cascate.
Tutto intorno larici, mughi, rododendri e il cinguettio della fauna del bosco.
E soprattutto silenzio.
Un vero spettacolo, un’oasi di pace, manca solo un unicorno intento ad abbeverarsi in queste acque per avere
una foto da incorniciare.
Riprendo il cammino e dopo aver superato ancora qualche curva noto che il sentiero spiana decisamente e,
portandosi sotto le pendici ancora piuttosto innevate del Monte Giove, entra in Val Vannino.
Qui il bosco termina e grossi massi a destra e a sinistra si alternano a qualche albero residuo.
Sono ormai in Val Vannino e stando a quanto indicato sulla cartina, la direzione da seguire è praticamente sempre dritta. L’ambiente man mano cambia, e questa valle si snoda da subito lungo scenari e panorami maestosi, dove oltre
al torrente che scorre al centro, ad attirare la mia attenzione è questa parete immensa del Monte Giove alla sinistra.
Sullo sfondo, completamente innevate, le Torri del Vannino e la Punta d’Arbola.
Lascio sulla sinistra la deviazione per il Rifugio Myriam ora ancora chiuso (stranamente), e continuo fino a superare
un’altra piccola rampa molto ripida e purtroppo cementata.
Subito oltre mi appare sulla sinistra lo spettacolo magnifico di un’enorme cascata che scende da un alto gradino roccioso.
Sono distante alcuni metri, ma gli spruzzi mi arrivano comunque addosso.
La valle da qui in poi si allarga un po’ di più, e seguendo il corso del torrente Vannino arriva sotto i dossi che
precedono il rifugio dove vi è anche la diga del Lago Vannino.
In questo punto una nota dolente allo splendore di questa valle, è rappresentata dalla presenza di enormi blocchi
di cemento nei quali sono infissi i tralicci dell’alta tensione che portano corrente dal Lago Vannino a valle.
D’accordo che la diga produce energia, ma forse un intervento meno invasivo non avrebbe guastato e le vecchie
colate di cemento che sono servite per la costruzione della diga andrebbero quantomeno rimosse.
Raggiungo in breve il rifugio e il lago di origine naturale chiuso oggi dalla diga che è stata costruita nel 1922.
Nonostante questo cemento e questi tralicci, il luogo rimane magnifico e lo sarebbe ancora di più se questi ultimi
avessero un minore impatto.
Non ho incontrato neve fino al rifugio, ma i monti sulla sponda opposta del lago ne sono pieni.
Sono le cime della Scatta e del Monte Minoia, mentre più a destra si intravede la Punta d’Arbola.
Oltre a questi gruppi si estende il comprensorio dell’Alpe Devero che in assenza di neve sarebbe raggiungibile.
La terrazzina di questo rifugio in muratura è proprio il luogo ideale da dove osservare questo panorama nel quale
le acque blu del lago fanno da contrasto a tanto biancore.
Tutti i percorsi citati sopra sono oggi ancora preclusi a causa delle abbondanti nevicate e così, visto che ho
ancora energie e sono impaziente di scattare qualche bella foto dall’alto, dopo una breve sosta decido di
camminare ancora, prendendo la direzione per il Passo del Nefelgiù.
Il cielo si è un po’ annuvolato ma non dovrebbe piovere.
Il sentiero parte proprio alle spalle del rifugio e lascia l’Alpe Vannino per salire in poco più di un’ora i pendii,
all’inizio erbosi, del vallone del Nefelgiù.
Mi bastano pochi metri per avere una visione magnifica su questa parte dei monti ossolani che ora risultano
ancora abbondantemente imbiancati.
Salendo scommetto che la vista sarà sempre migliore.
In ordine da sinistra svettano i Pizzi della Scatta, il Monte Minoia e la Punta della Scatta, mentre
la Punta d’Arbola rimane nascosta più a destra.
Ai loro piedi il bellissimo Lago Vannino che però ora mi sembra ad un livello alquanto basso.
Salgo seguendo i ghirigori di questo sentiero che segue sempre il filo del torrente del Nefelgiù.
Alla mia destra si innalza imponente il massiccio del Corno del Nefelgiù che si divide in orientale, centrale e occidentale.
Sulla sinistra invece, ancora un po’ celata la Punta dei Camosci.
Io sono esattamente nel mezzo, in questo vallone molto ripido apparentemente remoto e fuori dal mondo.
Un luogo selvaggio, detritico e impervio dove oggi non sale nessuno.
In corrispondenza di un salto di roccia ed erba, questo vallone si chiude maggiormente e ben presto mi ritrovo
sul sentiero con i piedi a pochi centimetri dall’acqua del torrente.
Sul terreno compaiono i primi sfasciumi e la traccia si impenna.
Poco più avanti il torrente è ancora coperto da grossi nevai residui e, proprio in corrispondenza di uno di questi,
vedo il sentiero attraversare l’acqua e portarsi sul pendio opposto.
Non ci credo, proprio qua doveva attraversare…
Sono in un punto poco simpatico, la traccia coincide col torrente e io sono a mollo con le scarpe.
Procedo in leggera arrampicata tra le rocce bagnate aiutandomi un po’ con le mani e fermandomi sotto
una piccola cascatella.
Sorrido, sorrido sempre e non credo ancora dove sono finito.
Direttamente ai piedi di una piccola cascata e nell’acqua, sto cercando di muovermi tra queste roccette.
Questa è la mia montagna, qui ho tutta la libertà e l’avventura che desidero.
Facendo molta attenzione a non scivolare, incastro i piedi tra i massi e mi porto dall’altra parte, dove con un po’
di fatica supero un altro enorme cumulo di neve e ghiaccio molto scivoloso.
Sono fuori, un pochino bagnato ma di nuovo su pietraia.
È stato un punto un po’ delicato che però mi ha emozionato davvero moltissimo.
Non mi era infatti mai capitato di essere in mezzo ad un corso d’acqua arrampicando un po’!
Arrivo ad un ampio pianoro pieno di neve dove il vallone si allarga, e ne approfitto per ammirare da quassù
questo incredibile panorama.
In basso, ormai minuscolo, il Rifugio Margaroli è solo un puntino dominato alla sua sinistra dalle rocce della
Torre Spaccata.
Da qui in poi il percorso sarà su ghiaccio e neve, vedo più in alto davanti a me il Passo Nefelgiù, così in questa pausa
ne approfitto per calzare i ramponi ed estrarre i bastoncini dallo zaino.
Lo sapevo che sarebbero serviti.
La salita, che ora affronta un lungo canalone fino al Passo del Nefelgiù, procede ormai senza via obbligata in quanto
il sentiero estivo è completamente coperto dal manto nevoso (anche se in alcuni punti talvolta riaffiora).
La neve dura tiene molto bene e i ramponi mordono.
In questo modo non faccio alcuna fatica e salgo spedito, anche se alcuni punti sono ripidi.
Cerco solo di tenermi abbastanza laterale in quanto in mezzo scorre sempre il torrente, e non vorrei che crollasse
qualche ponte di neve.
In queste condizioni questi ultimi metri mi trasmetto qualcosa di unico mentre salgo.
La mia mente si svuota, si dissolvono i pensieri e i problemi.
Sono solo, io e la montagna e, anche se alla fine mi trovo semplicemente su una forcella, mi sembra di salire
qualcosa di molto più alto.
Non cambierei questa sensazione per nient’altro al mondo e, una volta sceso, ripartirei ancora e ancora.
Qui assaporo veramente la vita e la libertà.
Quando arrivo in cima sono strafelice e nei miei occhi si riflettono le vette imbiancate delle cime che chiudono sul
versante opposto il Lago di Morasco, col Corno Gries e la Punta di Valrossa.
Più in là, i monti della Svizzera.
Penso che scendere da questa parte verso Riale sarebbe veramente bello, una grande traversata, ma come al solito
non ho l’auto in questo paese per tornare poi a Ponte e di navette neanche a parlarne.
Torno così sui miei passi contemplando per l’ultima volta l’incredibile spettacolo che si gode da quassù.
Anche se ora il cielo si è coperto, le nubi non avvolgono queste cime, consentendomi fino alla fine di scattare foto e
di portare a casa un bel ricordo.
Il canalone ghiacciato in discesa non pone alcuna difficoltà e, anzi, procedo veloce divertendomi sulla neve anche se
ogni tanto sento un po’ largo lo scarpone sinistro.
Strano, li avevo riallacciati su al passo, lo faccio sempre.
Non ci do peso e arrivo di nuovo al punto delicato del guado dove procedo sempre con cautela lungo il blocco di neve.
Il traverso più comodo però lo individuo sempre nel medesimo punto di questa mattina, ed è inevitabile trovarmi ancora
sotto la cascatella con l’acqua che entra un po’ dappertutto.
Una nuova rinfrescata ci voleva proprio.
Tornato sul pianoro poco oltre, mi concedo un attimo di relax, prima di scendere ancora al Rifugio Margaroli e
procedere quindi verso Ponte.
Seduto su una roccia butto un occhio al mio scarpone e vedo che il laccio è completamente tagliato.
Ecco perché era largo!
Per continuare sono costretto a fare un piccolo nodo di fortuna, altrimenti perderei lo scarpone.
A ben pensarci non so come ho fatto a non perderlo nell’acqua!
Il nodo sorprendentemente tiene e mi consente una discesa verso valle tranquilla.
Superato il rifugio riesco a fotografare anche numerose marmotte in cerca di cibo lungo la mulattiera.
Avanzo piano cercando di non far rumore.
Sono veramente uno spettacolo e alla fine passo molto tempo ad osservarle.
A pomeriggio inoltrato e sotto nuvoloni piuttosto neri raggiungo di nuovo la pista da sci, da dove inizia l’ultima discesa,
anche se non con gli sci, a zig-zag data l’elevata pendenza arrivando a recuperare l’auto a Ponte.
Una grandiosa giornata, una favolosa escursione, che mi ha regalato fantastiche emozioni e un insegnamento.
Mettere sempre dei lacci di scorta nello zaino!
Relazione e fotografie di: Daniele Repossi
Note: classica e facile escursione della Val Formazza nella quale si percorrono la bellissima Val Vannino e
l’austero Vallone del Nefelgiù con panorami e scorci sempre diversi e tutti meravigliosi a partire dall’incantevole Lago Vannino.
La prima parte di salita verso Rifugio Margaroli per la pista da sci è molto ripida e faticosa
(in alternativa un più comodo sentiero sale dal paese di Canza), mentre l’ascesa al Passo Nefelgiù si svolge su un
canalone che se innevato richiede l’uso di ramponi e bastoncini per una progressione più stabile e sicura.
Sempre se in presenza di neve, roccette da superare con l’aiuto delle mani poco oltre il rifugio, nel torrente del Nefelgiù.