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Sentiero Cultura di Borgio Verezzi – Borgio Natura –
(Italia – Borgio Verezzi)

il percorso di trekking che non ti aspetti: l’itinerario attraversa tutti i siti di maggior interesse culturale di
Verezzi (Crosa, Poggio, Roccaro, Piazza), e poi all’improvviso vi troverete sulla cresta boscosa-rocciosa
estremamente panoramica, a picco sul mare e sul promontorio di Gallinari

sentiero cultura borgio verezzi


Località di partenza:
parcheggio frazione Crosa, Verezzi (SV)
Quota di partenza: 210 m.
Quota massima: 282 m. (cresta Gallinari)
Dislivello: 170 m. (dislivello totale positivo)
Posizione: l’anello qui descritto interessa le 4 borgate di Verezzi e il crinale ovest del Monte Caprazoppa
(promontorio Gallinari), con la presenza di numerose cave estrattive un tempo in funzione
Borgio si trova nel tratto della Riviera Ligure di Ponente compreso tra Finale Ligure (ad est) e
Pietra Ligure (ad ovest)
Livello di difficoltà: T / E / EE la cresta di Gallinari [scala dei livelli delle difficoltà]
Segnaletica e n° di sentiero: doppia linea orizzontale azzurra sovrascritta dalla sigla SC e freccia direzionale
anch’essa azzurra
Ore: 1h 30’ – 2h (anello completo) la tempistica non considera le soste da mettere in conto per visitare tutti i principali
punti di interesse e soffermarsi in uno dei numerosissimi punti panoramici
Distanza: 3 km
Tipo di terreno: strade asfaltate, acciottolato, sentiero (anche ripido), roccette
Periodo: tutto l’anno
Acqua lungo il percorso: nei locali presenti nelle varie borgate che si incontrano e, al punto ristoro accanto alla
chiesa di S. Martino (verificare gli orari di apertura che possono variare a seconda del periodo)
Le tappe del percorso: Crosa Bassa – Chiesetta di S. Martino – Gallinari – Cava Vecchia – Poggio
– Carrubo del Buongiorno – Roccaro – Piazza – Crosa

Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Ritorno: il percorso è ad anello; seguire la cartina e i dettagli riportati nello scritto per avere informazioni precise
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli

 


Tecnicamente in breve

dal parcheggio di Crosa Bassa (210 m.) si prende in direzione monti attraversando l’antico borgo,
fino a raggiungere una piazzetta (Crosa Alta) dove è presente un antico lavatoio.
Da qui si svolta a destra e si percorre l’ampia strada selciata (poi sterrata) fino a giungere alla Chiesetta di
S. Martino e al Santuario di Maria Madre e Regina (269 m.), crocevia di numerosi itinerari.
Dalla chiesa si ignorano le tracce che scendono verso Borgio e Finalborgo e si punta dritto al crinale boscoso
in direzione mare.
Il punto di partenza è un po’ nascosto e la pista alquanto labile, ma un pannello relativo al Sentiero Cultura
ne indica il punto esatto.
Si percorre la cresta seguendo il sentierino che a tratti scompare, si salgono alcune roccette, si oltrepassa un
vecchio ripetitore e ci si porta nel punto più panoramico del percorso, a picco sul mare.
Ora si scendono alcuni scalini rocciosi fino ad arrivare ad un breve, ma verticale, tratto attrezzato, facilitato da
un paio di pioli infissi nella roccia.
Proseguendo, si cammina a fianco alla Vecchia Cava (200 m.), fino ad arrivare ad un grande bivio.
Si prende a destra per il tratto in piano, si oltrepassa un ristorante e l’antica Cava Pilino e si arriva a toccare
l’asfalto di Via Nazario Sauro che sale a tornanti da Borgio.
Un breve tratto in salita e si giunge a Poggio, dove prendendo il bel sentiero lastricato a sinistra si attraversa
l’intero borgo uscendo poco più in basso, nei pressi di un tornante di Via Nazario Sauro.
Sulla destra parte la Via San Giuseppe che si imbocca.
Si prosegue dritti ignorando la prosecuzione della stessa verso destra che risale fino a Piazza, e si arriva ad
un altro bivio.
Ignorando la deviazione a sinistra che scende alle Grotte di Borgio, si risale sulla destra fino ad arrivare al
borgo di Roccaro.
Un bel camminamento acciottolato e antico sulla destra, consente di giungere al borgo di Piazza e
precisamente in Piazza S. Agostino.
Seguendo i pannelli del Sentiero Cultura, dalla piazza si risale verso i monti perpendicolarmente,
attraversando Via A. G. Barilli, (la strada che conduce a Gorra) e continuando anche qui su buon acciottolato
(ripido) fino a Crosa Bassa, punto di partenza

Liguria, Riviera di Ponente.
Tra i posti più suggestivi e davvero meritevoli di un prolungato soggiorno, rientra certamente la grande insenatura che
comprende Borgio e il Pietrese e che oltre prosegue nel Loanese.
Consigliare una visita in queste zone parlando del mare, del clima sempre mite, delle spiagge o della buona cucina è
scoprire l’acqua calda.
Questi fattori sono noti a tutti, tanto che la Liguria è una delle mete più ambite sia d’estate quanto d’inverno.
Ora però io voglio farvi scoprire questa porzione di territorio da un punto di vista meno conosciuto, e che invece merita di
essere portato alla ribalta.
Di cosa sto parlando?
Ma di trekking e passeggiate, ovvio!
Se come me siete tra coloro che da anni frequentano questi posti da “turista” estivo (leggasi: “spiaggista”) o se non
avete mai raggiunto questi borghi, è giunto il momento di rimediare e tuffarsi in scenari mozzafiato.
Un mondo che da sempre è lì, alle spalle del traffico, dei rumori e del mare, ma che a torto è stato sempre
(non si sa perché) ignorato.
Ora di cose da dire ne abbiamo veramente tante.
E proprio per questo io inizierei con una breve descrizione a riguardo…


Verezzi, uno dei borghi più belli d’Italia

Borgio Verezzi si trova compreso tra il Finalese (est), e il Pietrese (ovest), e il titolo di cui sopra è ben meritato.
Come ai più sarà saltato all’occhio, in realtà si sta parlando di due distinte località, unite in un unico comune solo nel 1933.
Borgio, sul mare, oggi paese moderno alquanto trafficato che circonda la parte più antica posta su una piccola altura
e Verezzi, sulla collina, dal quale si gode di uno splendido panorama e che comprende 4 antichi borghi caratteristici:
Roccaro, Piazza, Crosa e Poggio.
Le origini di questo comune risalgono a oltre il 200 A.C. quando sembra che i romani si siano scontrati con la
popolazione locale ligure per conquistare il territorio.
Viretum e Burgus Albingaunum, questi gli antichi nomi di Borgio e Verezzi appartenevano dapprima al Vescovato di Albenga,
per poi passare sotto il controllo dei Marchesi Del Carretto di Finale e quindi alla Repubblica di Genova, ceduti da
Papa Urbano VI (1385) in quanto parte della podesteria di Pietra Ligure.
Ricchezza e prosperità caratterizzarono questi luoghi fino all’arrivo di Napoleone, anni in cui iniziarono le incursioni
dei pirati saraceni che, innamorati della bellezza del luogo, iniziarono a stabilirvisi.
Un esempio lo si trova oggi in alcuni edifici di Borgio e di Verezzi in caratteristico stile architettonico e che formavano
l’antico borgo saraceno.
Borgio tentò di difendersi fortificando la costa, prova ne è l’antico forte che sorgeva al posto dell’attuale chiesa
di San Pietro.
Napoleone all’inizio del 1800 riuscì a conquistare tutto il territorio annettendo la Repubblica Ligure al suo impero.
Alla sua caduta la Liguria venne annessa al Piemonte in base a quanto stabilito dal Congresso di Vienna.
Così le due frazioni entrarono a far parte prima della provincia di Albenga, poi in quella di Genova e infine, dal 1929,
in quella di Savona.
Nel 1933 si ebbe l’unificazione in un unico comune, ma come ampiamente constatabile, le due realtà si differenziano
molto in quanto ad ambiente, tradizioni ed economia.
Borgio, sul mare, è oggi un paese che fa del turismo il suo punto di forza, con spiagge, locali e abitazioni residenziali;
caratteristico è il suo centro storico sopraelevato.
Verezzi è un borgo ancora dal forte impulso saraceno, agricolo, tipico, immerso nel verde della collina, dove ancora sono
in molti a portare avanti i lavori e le tradizioni di un tempo.
E’ esattamente in queste frazioni affacciate sul mare che inizia il viaggio nel tempo verso un’epoca molto antica.
Camminando per i caruggi, si rimarrà increduli di fronte alle tipiche case in pietra rosa, alle piccole torri fortificate,
agli strettissimi passaggi, agli antichi lavatoi e fontane, alle arcate che collegano le varie case e che offrono
sensazionali spunti panoramici.
E poi ancora porticati, edicole votive, panchine e portoni antichi: tutti elementi che rimandano ad un lontano passato.
Le borgate sono collegate tra loro da mulattiere dette
creuze, chiuse ovviamente al traffico veicolare e formate da
gradini in pietra, acciottolato e delimitate da alti muretti confinari.
A dire la verità tutto è realizzato con la pietra: non solo le case ma anche porticati, archivolti, gradini, lavatoi, scalinate,
pluviali dei tetti ecc.
Le borgate, che da lontano appaiono come un blocco unico di roccia, sono effettivamente tutte ammassate
l’una sull’altra ma tuttavia diverse fra loro per forma, colore e dimensione.
Sembra che un architetto si sia divertito a realizzare delle costruzioni senza un preciso schema, in modo astratto.
Viste dall’alto le frazioni appaiono come 4 piccoli centri separati e ad impressionare è la moltitudine variegata di tetti e
terrazze apparentemente collocate senza una logica.
Spesso ci si troverà a percorrere tratti in salita o in discesa anche molto ripidi dove eventuali soste per prendere il fiato
riempiranno i polmoni non di aria soltanto, ma di bellezza, gioia e pace.
Il tutto è reso possibile dai nostri occhi che imprimono nell’anima il quadretto variopinto sul quale sono puntati.
La collina che circonda queste frazioni è stata addomesticata dall’uomo il quale ha realizzato tipici terrazzamenti sui quali
vengono coltivati alberi da frutto, ortaggi e…fichi d’india!
Inutile dire che la vista sulla costa ligure da quassù è qualcosa di impareggiabile.
Borgio Verezzi offre però innumerevoli altri appuntamenti e luoghi da visitare, in primis il famosissimo Festival teatrale
messo in scena in piazza S. Agostino a Piazza, tutte le estati dal 1967 e le Grotte.
Per non parlare delle passeggiate lungo la costa magari fermandosi ad assaporare uno dei prelibati piatti locali.
Per un pit-stop veloce poi, c’è sempre la focaccia!

Fare trekking nella conca di Borgio significa avere l’imbarazzo della scelta sul tipo di percorso da intraprendere.
I percorsi descritti e affrontati sono relativamente brevi, con poco dislivello e alla portata di tutti.
I più allenati tra voi potranno anche percorrere due itinerari in una sola giornata, anche se io consiglio di fermarsi,
e concedersi tutto il tempo necessario per godere appieno delle bellezze che il territorio ha da offrire.
E di cose da vedere, da assaporare, ce ne sono davvero una marea!
Nel riquadro qui in basso andiamo ad analizzare i vari tipi di percorso in base all’esperienza che vogliamo fare.
Inutile dire però che scegliere è un delitto, meritano tutti la nostra attenzione!


La rete sentieristica di “Borgio Natura”

Solo un lento incedere permette di scoprire tutte le bellezze e gli angoli più nascosti che questo tratto di costa ligure
offre al viandante.
Antichi sentieri, viottoli, mulattiere e caruggi un tempo percorsi da antiche popolazioni e più recentemente utilizzati per
il trasporto verso il mare dei grandi blocchi di pietra che si estraevano dalle cave dislocate su queste pendici,
sono oggi stati ripristinati in modo fedele e conservati nel modo migliore, così che chiunque voglia percorrerli possa
godere di queste bellezze.
Quattro sono i sentieri che a mio avviso meritano di essere percorsi lungo le colline di Verezzi; altri, non meno interessanti
ma più lunghi e che collegano Borgio col Pietrese e il Finalese, verranno descritti in seguito.
Questi quattro itinerari sono compresi all’interno di una rete sentieristica chiamata “Borgio Natura”, ben segnalati e
dotati di appositi pannelli informativi nei punti strategici più rilevanti.
Il progetto “Borgio Natura”, ideato dal comune, dalla Cooperativa Tracce e in collaborazione col C.A.I. e con la F.I.E.
(Federazione Italiana Escursionismo), è nato nel 1995 con lo scopo di valorizzare il territorio da un punto di vista culturale,
ambientale, storico e turistico.
Tali percorsi compiono tutti un anello e sono:
SENTIERO CULTURA:
itinerario che attraversa tutte e 4 le borgate di Verezzi, descrivendone le caratteristiche più rilevanti dal punto di vista
storico e architettonico, grazie anche all’utilizzo di 12 pannelli informativi dislocati lungo il percorso.
Alla parte culturale si affianca però anche quella naturalistica-collinare, in quanto nel tratto centrale si percorrerà
un’intera cresta panoramica a picco sul mare (Gallinari), con una discesa su roccette che ha molto il sapore montano.
SENTIERO NATURA:
itinerario ambientale-naturalistico che tocca 3 delle 4 borgate di Verezzi e il più grande comune di Borgio in riva al mare.
Anche in questo caso, 15 pannelli informativi illustrano le peculiarità del territorio sotto gli aspetti botanico, naturalistico,
faunistico, geologico, storico e architettonico.
SENTIERO GEOLOGICO:
itinerario tematico e vero e proprio viaggio nel tempo attraverso le ere geologiche che hanno caratterizzato il pianeta.
6 pannelli informativi consentono di partire da 300 milioni di anni fa e di arrivare in epoca odierna.
Al termine del percorso è raccomandabile una visita alle famose Grotte di Borgio Verezzi.
VIA DEI CARRI MATTI:
itinerario che ripercorre l’antico tragitto che veniva fatto compiere dai grossi blocchi di pietra estratti nelle cave verso
il mare e trasportati su carri chiamati appunto “matti”.
Al viandante viene concessa la possibilità di ripercorrere la dura vita dei cavatori di un tempo che con immani fatiche
cercavano di far fruttare il loro lavoro trasportando il materiale estratto verso il mare mediante i “Carri Matti”. 
Questo anello gira attorno al promontorio di Gallinari e per brevi tratti coincide coi sentieri Geologico, Natura e Cultura.

Prima di raccontarvi la mia esperienza lungo il Sentiero Cultura, ancora due parole sul clima e sul tipo di ambiente.
I tracciati sono affrontabili tutto l’anno; la Liguria è nota per il suo clima mite, e a ridosso del mare è quasi impossibile che
nevichi, quindi l’autunno e l’inverno sono stagioni da sfruttare, anzi, le migliori per sfuggire alla canicola estiva.
In linea di massima è proprio quest’ultima la stagione poco adatta al trekking, se non nelle giornate un po’ nuvolose e
con poca umidità.
L’ambiente che si attraversa è quello tipico della macchia mediterranea, dove la vegetazione cresce su di un substrato
calcareo e soffre della quasi assenza di precipitazioni estive.
Il suolo è molto arido e i versanti di queste colline a ridosso del mare sono spesso spazzati dal vento (anche forte).
Per cui organizzate bene il vostro vestiario.
I percorsi interessano diverse porzioni di territorio.
Ci sono zone rocciose e brulle dove piante ed arbusti si presentano a macchie, diradati, anche a causa del sistemico
taglio delle piante da parte dell’uomo, o per via degli incendi che nei secoli hanno lambito queste coste.
Tipici di questi ambienti sono la ginestra, il timo, il rosmarino, l’erica e la lavanda.
Altre zone sono invece fitte, e si attraversano leccete apparentemente impenetrabili che formano vere e proprie giungle.
Qui anche il sottobosco è ricco e gli arbusti formano una massa unica.
La specie tipica di queste aree è il leccio, presente in gran quantità.
Una pianta che resiste molto bene alla siccità, ma anche al freddo, e che può elevarsi fino a 20 metri di altezza.
Le foglie, sempreverdi, sono fitte ed oscurano completamente il sole rendendo il passaggio in questi boschi davvero
suggestivo e per certi aspetti un po’ inquietante.
A sorprendere sono anche le piante e i fiori, con i quali, gli abitanti di Verezzi, colorano le loro borgate che nei periodi di
fioritura profumano l’aria di essenze molto intense e particolari.
La pianta più gettonata è la
Mirabilis jalapa L., 1753, meglio conosciuta come la Bella di Notte.
I suoi fiori vogliono l’esposizione solare, ma al sole tendono ad appassire: la magia si ha al tramonto, quando gli stessi
si aprono (la Bella di Notte, come da nome, è un fiore notturno), rilasciando nell’aria un’esplosione di profumo.
Sulle pareti rocciose e sulle pietre è invece la
Campanula Isophylla (o Campanula di Noli), che in primavera colora
di azzurro-violetto la pietra di Verezzi.
Le vere star però a mio avviso sono loro: i fichi d’india!
Ne troverete a milioni, ovunque, sul terreno, sui terrazzamenti, sulle terrazze, sui balconi o pendenti a testa in giù
dai muretti.
Crescono ovunque e portano una vivacità di colori incredibile.
Dopo aver dato giusto un assaggio, siamo pronti a partire.
Ricordo che eventuali foto e approfondimenti mancanti a corredo di questo percorso, possono trovarsi invece negli altri,
per esigenze di impaginazione.
Non è da dimenticare che lunghi tratti di questi itinerari, si sovrappongono fra loro, per cui in alcuni punti si transita più volte.

E’ un pomeriggio di fine estate come tanti.
Caldo, troppo caldo.
Non tanto per il sole, che pure si fa sentire, quanto per l’umidità che toglie il respiro.
Non per questo però ho deciso di rinunciare alla scoperta dell’interessante giro di trekking, confidando in un po’ più di
fresco o di brezza una volta raggiunto le colline.
Arrivo al parcheggio di Crosa Bassa con un po’ di fiatone, dopo la “tirata” che ho fatto partendo da Borgio.
Non ho usato l’auto e, consiglio spassionato, anche voi fareste meglio a fare altrettanto.
Il parcheggio è piccolo, ci stanno poche macchine ed è a pagamento.
Non ci sono altri posti, (bensì telecamere di sorveglianza che vigilano su eventuali parcheggi selvaggi) e nemmeno lungo
la strada che porta a Gorra o che scende a Borgio è possibile accostare ai lati.
Troppo stretta la carreggiata, caratterizzata da tornanti e delimitata da muretti in cemento.
La soluzione sta nelle proprie gambe: da Borgio a Crosa non è molta la strada, anche se a tratti si sale decisi.
Si percorrono viottoli e stradine che descriverò in questo e negli altri percorsi, per cui niente “fuori programma”.
Mi dirigo a passo lento verso il centro dell’abitato puntando alle colline.
Al termine del parcheggio (c’è proprio la riga per terra), lascio la modernità e la civiltà per entrare di colpo in un mondo
molto più antico.
Le case variopinte si ammassano e si sovrastano l’una sull’altra, ognuna con la sua propria identità e forma.
Duo o tre viottoli spezzano questa continuità, regalando scorci davvero suggestivi lungo questi caruggi, come si
chiamano in Liguria.
Case antiche, secolari, con portoni in legno, batacchi, targhette al posto di citofoni, pergolati, fontanelle e una serie di
altri particolari che richiamano i bei tempi andati.
Alcune abitazioni, qua e là, sono oggi state trasformate in b&b.
Sembra che anche l’elettricità abbia faticato non poco a raggiungere questi luoghi, così come il gas, trasportato ancora
mediante bombole.
Percorro un bel viottolo selciato delimitato da alte mura in pietra fino ad arrivare a Crosa Alta, anche se in effetti,
a dir tanto, avrò fatto 5 metri di dislivello.
La piazzetta in cui mi trovo mi ricorda moltissimo il mondo medievale più che arabo, dove al centro sorge un antico
lavatoio con una fontana azionata a mano.
Tutto intorno muretti in pietra, gradini e terrazzini con piante di ogni specie.


Crosa e l’arma Crosa

Il nome del borgo di Crosa, diviso in Crosa Bassa e Crosa Alta, deriva dal latino “corrosa” in quanto la falesia su cui
si appoggia proprio Crosa Alta, è ricca di grotte e anfratti usati come luogo abitativo fin dai tempi del paleolitico.
La borgata, la più alta fra le 4, è anch’essa caratterizzata dal particolare stile architettonico saraceno con carrugi,
viottoli e case unite fra loro a formare un enorme blocco compatto ma diversificate per forme, colori e dimensioni.
A Crosa Alta si trova una tipica piazzetta, antico luogo di incontro e scambio, dove è presente un lavatoio con la fontana
azionata a mano.
Bisogna percorrere tutte le viuzze per rendersi conto del tempo che si è fermato.
La modernità qui non è di casa.
Muretti e terrazzini qui ospitano la coltivazione della vite che viene fatta arrampicare anche su muri e pali, in modo da
formare pergolati naturali che offrono riparo dal sole in estate, (un esempio lo si trova anche a Roccaro).
In buona compagnia, la vite convive sui muretti con la già citata campanula di Noli che dona un ulteriore tocco di
colore all’ambiente.
Salendo per la collina dietro le ultime case di Crosa Alta, si giunge all’Arma Crosa, un grande anfratto naturale, una
cavità carsica, che insieme alle altre innumerevoli grotte di cui è ricca la zona, offrirono dimora e riparo già in
epoca primitiva.
Basta visitare il luogo per rendersene conto: una grotta del genere, pur aperta, è sempre un luogo riparato più caldo
rispetto allo stare all’aria aperta.
Offre protezione dalle intemperie, dal freddo e dal caldo.
Le testimonianze dei primi insediamenti umani risalgono al Paleolitico, ossia a 300.000 anni fa.
Questi anfratti in epoca più recente vennero utilizzati come magazzini e come cantine, una volta sorte le case in pietra.
I soldati romani, per scacciare la popolazione locale, ebbero un bel daffare.
Narra lo storico Tito Livio che per costringere le genti del luogo ad abbandonare le grotte, i soldati furono costretti ad
incendiare la boscaglia davanti agli ingressi.
Le varie popolazioni che col tempo hanno abitato queste caverne, hanno consentito di trasmettere a noi un enorme
bagaglio storico che comprende varie fasi dell’evoluzione, non solo umana.
All’interno sono stati infatti trovati resti di utensili di cui l’uomo si serviva, così come quelli degli animali di cui si cibava.
Tutti elementi che hanno consentito di ricostruire anche l’ambiente in cui vivevano i popoli primitivi, non certo uguale al
nostro, a partire dal clima.
Epoche caldissime, molto più calde dell’attuale, si sono alternate ad altre gelide, a riprova che il pianeta ha sempre fatto
il suo ciclo, (con o senza uomo), e sempre lo farà.
Un’ulteriore prova?
Gli animali tipici di montagna che durante i periodi freddi hanno colonizzato questi luoghi spingendosi fino al mare
(cervi, daini, camosci ecc.) e che oggi è frequente incontrare.

l'Arma Crosa sentiero cultura borgio verezzi

l’Arma Crosa

Dalla piazzetta svolto a destra e continuo a percorrere un bel acciottolato passando sotto ad un portico.
Il panorama verso la costa inizia a delinearsi ma da qui la visuale è ancora troppo limitata per via di case e piante.
La strada inizia gradatamente a salire e più avanti a diventare sterrata fino a terminare ai piedi della chiesetta di
S. Martino Vescovo e del Santuario di “Maria Regina Mundi” (Maria Madre e Regina).
Ho appena raggiunto uno dei punti più importanti dell’escursione e meta ambita dagli escursionisti, tanto che è raro
essere soli.
Il grande sagrato ombreggiato da pini marittimi ospita i due edifici e, accanto, un punto ristoro consente una pausa
(o una cena), in uno dei punti più panoramici del percorso (anche se la vera chicca verrà tra poco).
Il bel terrazzino antistante il locale consente una magnifica vista sul golfo del Pietrese e del Loanese, fino alle più lontane
coste del Ponente.
Una leggera brezza, si è levata e anche il cielo si è un po’ velato.
Col panorama che si gode da quassù tutto passa in secondo piano.
All’aspetto culturale dedico un apposito spazio qui sotto che vi consiglio di leggere.


La Chiesa di S. Martino, il Santuario e la Tomba dei Cucchi

Dove oggi sorge la Chiesetta di S. Martino Vescovo, del 1625, un tempo si trovava la Cà di Fratti, una chiesa
ancora più vecchia eretta dai benedettini e rivolta verso il Finalese, mentre l’attuale si affaccia sul Pietrese.
Parte di quella chiesa vive ancora, trasformata in un bar-punto ristoro.
La sua costruzione venne affidata al priore Giovanni Tommaso Cucchi.
L’interno, in stile barocco ad unica navata, conserva importanti opere come la tela raffigurante S. Martino di Tours,
patrono di Verezzi, l’opera di Orazio de Ferrari L’incredulità di San Tommaso, il pulpito del 1652 scolpito con la pietra di
Verezzi e le statue del XVIII secolo di Santa Maria Maddalena, San Martino e Madonna del Rosario tra angeli.
Il campanile adiacente, di stile romanico, costituiva invece la vecchia chiesa e, miracolosamente, si è conservato.
Di fianco la chiesa sorge il Santuario di “Maria Regina Mundi”, noto in antichità come oratorio di Santa Maria Maddalena,
eretto nel XVII secolo.
L’interno conserva anch’esso lo stile barocco ad unica navata.
Sono qui conservate le statue dei santi Gioacchino e Anna, Gesù e San Giuseppe e la statua della Madonna
Regina con Gesù e angeli, dello scultore di Ortisei Luigi Santifaller.
Sul fianco sud del santuario tre steli riportano due preghiere e un ricordo ai caduti della Grande Guerra e della
Seconda Guerra Mondiale.
Alle spalle della chiesa si trova il cimitero comunale dove all’interno sorge la Tomba dei Cucchi, di cui fa parte un
bellissimo portale costruito con la Pietra di Verezzi, che è stata estratta dalle vicine cave.
Maestosa la cupola sulla quale svetta il lanternino.
I Cucchi erano una nobile famiglia verezzina, oggi estinta, a cui si deve la realizzazione della chiesa di cui sopra.

La chiesetta di S. Martino rappresenta anche il crocevia di tutti gli itinerari descritti, non solo del Sentiero Cultura.
Volenti o nolenti si passerà sempre da qui.
Arrivando al punto esatto del crocevia, passo accanto ad un’enorme campana, la “Campana della Mamma”,
che ogni sera alle 19 suona in ricordo di tutte le mamme defunte.
Lascio questo luogo a malincuore dopo una corposa sosta: ad ogni modo so di tornare nei prossimi giorni quando
affronterò i restanti percorsi.
Nel punto in cui mi trovo è davvero un guazzabuglio di vie; ne conto almeno cinque ma quella che ora interessa a me
è solo una, ossia il proseguimento del Sentiero Cultura.
Qui, dopo la mia esperienza, suggerisco il secondo consiglio del giorno.
La direzione da prendere è verso il mare e ci sono due possibili percorsi.
Il primo, più basso, si stacca a sinistra verso il basso attraversando una fitta lecceta;
il secondo, lungo il crinale del promontorio Gallinari, percorre tutta la cresta ed è il più panoramico
(ma anche un filo più tecnico).
Per chi è solito fare trekking ed escursioni sui monti, la mia indicazione è di ignorare il sentiero basso nella lecceta:
lo affronterete comunque camminando lungo l’anello del
Sentiero Natura.
Molto meglio tenersi alti in cresta, assisterete ad un vero spettacolo!
Con le foto allegate cerco di rendere l’idea di quest’ultimo sentiero che descriverò, in modo che chiunque possa decidere liberamente in merito alle “difficoltà”.
Non c’è nulla di ostico, solo un paio di punti in cui porre attenzione.
Importante: qualunque sia la vostra scelta, vi ritroverete al termine di questo promontorio, nel punto in cui i due sentieri
si uniscono.
Ma torniamo al crocevia di sentieri e dipaniamo questa matassa.
All’inizio ammetto di essere un po’ spaesato, giro in tondo su me stesso guardando le varie opzioni.
Alla fine è la logica a prevalere, anche se l’attacco della cresta risulta abbastanza nascosto!
Mi pongo infine spalle alla chiesa e ignoro tutti i sentieri che scendono il basso, tanto quelli alla mia destra,
(verso Borgio), che quelli a sinistra, (verso Finalborgo o il suddetto nella lecceta).
Osservo di fronte a me la vegetazione rigogliosa di ulivi che pare formare un muro, fino ad individuare un pannello del
Sentiero Cultura sotto un ulivo.
“Stai a vedere che la traccia parte proprio ai piedi del pannello”: è proprio così.
Chiamarla traccia è discutibile, dato che il fogliame e le rocce lasciano appena intuire la direzione.
Non nascondo che, soprattutto all’inizio, vado un po’ per tentativi facendo uno slalom tra gli ulivi e tornando talvolta
due passi indietro per ripartire.
Questo è anche il punto in cui scrivevo di fare attenzione, in quanto serve un po’ di orientamento e assenza di vertigini.
E’ impossibile perdersi, basta percorrere qualche metro per individuare, o tornare, sulla retta via.
In ogni caso un bellissimo, incredibile cambiamento!
Continuo fra gli ulivi, su roccette e in leggera salita.
Alcune rocce richiedono di allungare un po’ più la gamba, altre sono piatte e disposte come una passerella.
Sono in una fitta “giungla”, circondato da arbusti ed ulivi e mi sento molto Indiana Jones!.
La domanda che mi balena “ma sarò sulla via giusta?”, viene spazzata via quando inizio a rimontare alcune rocce
che mi consentono di raggiungere un terrazzino a picco su Borgio, dal quale posso ammirare tutta la costa e buona
parte del percorso.
Che salto, che panorama!
Nulla da far invidia alle montagne!
Sono letteralmente sulla chioma degli alberi, come mi fossi arrampicato per vedere la luce del sole o scorgere il cammino.
 Pazzesco!!

Sceso dalla roccia mi rituffo nel fogliame e ora con sentiero più evidente raggiungo, scalettando, un altro terrazzino
roccioso dove la vista spazia sul golfo, sulle 4 borgate di Verezzi e, oltre la chiesa appena lasciata, sul più lontano
entroterra ligure.
Le nubi si sono addensate e proprio sulle cime dei monti più lontani si sono fatte minacciose.
Anche il caldo è sparito, meglio così.
Di colpo la vegetazione si dirada fin quasi a scomparire, e io mi ritrovo nel punto più esposto della cresta Gallinari:
sotto di me, le case di Borgio.
Di nuovo tra bassi arbusti che oscurano un po’ la traccia, (servirebbe un machete), giungo ad una bizzarra struttura
metallica che sembra reggersi in piedi con le stampelle e che forse, da ciò che mi appare, è stata più volte
colpita da fulmini.
Probabilmente un vecchio ripetitore, o qualcosa di simile.
Superato questo punto, passo per qualche metro in una bella lecceta tra arbusti più bassi.
Non ci sono più “problemi” di orientamento, il sentiero è chiaro e visibile e si porta deciso verso la punta che dà sul mare.
Manca poco ormai e mi prefiguro: lo spettacolo!
Scendo lentamente, tra gli arbusti, su roccette e ghiaietto.
Le case, il mare sono lì sotto, a pochi passi.
Ormai in campo aperto vedo la fine del promontorio, dal quale dovrò perdere quota tenendomi sulla destra.
Dritto, il mare.
La voglia di prendere la rincorsa, di saltare e liberarmi come un volatile è alle stelle.
 La brezza marina e la solitudine di questo luogo danno all’ambiente un tocco magico.
Il cielo si è incupito e minaccia pioggia, ma proprio le nuvole rendono terso l’orizzonte che altrimenti sarebbe
caratterizzato da quella foschia in grado di scontornare l’orizzonte e i profili della costa.
Un grido di stupore dovrebbe levarsi di fronte ad uno scenario simile.
Invece non mi esce un filo di voce e rimango attonito, in silenzio a contemplare il mare.
E poi dicono che non ci sono montagne e panorami qui!
Alla mia destra (ovest) si palesa una buona fetta della Riviera di Ponente: a partire da Borgio, si distinguono
nettamente Pietra Ligure, Loano col suo inconfondibile porto circolare e Borghetto S. Spirito.
Il promontorio che parte dal Monte Acuto e termina sul mare con quello del Monte Piccaro, separa Borghetto da
un’altra bellissima insenatura che va da Ceriale ad Albenga.
Qui, a pochi metri dalla costa, solitaria in mare, si eleva l’isola della Gallinara.
Poi, ancora più in là (finché riescono a spingersi i miei occhi), il massiccio del Monte Bignone divide quest’ultima
dalla conca di Alassio.
In lontananza l’orizzonte costiero si chiude con il promontorio di Capo Mele.
Puntando invece lo sguardo verso l’entroterra e i Monti Liguri, oltre a una sfilza di cime e cimette, è il Monte Carmo
(sopra Loano) a fare la differenza essendo il più alto.
Sul versante opposto la visuale è un po’ più chiusa dal Monte Caprazoppa, ma consiglio comunque di fare qualche
passo fuori sentiero per affacciarsi sul Vallone di Rio Fine, dal quale si può rimanere impressionati dall’importante
salto roccioso.
Alle mie spalle, la cresta Gallinari e, poco più a sinistra le 4 borgate di Verezzi che come in un presepe punteggiano
a macchie ben distinte la collina.
Con tutte queste meraviglie non mi accorgo del tempo che passa.
Meglio muoversi e iniziare a scendere.
A dire la verità, spesso succede, si presta poca attenzione anche al suolo che si sta calpestando.
Sulle prime non me ne accorgo, ma man mano che passo sopra rocce e massi di forme stranissime, incavate,
concave e convesse, la mia attenzione si rivolge verso il basso. 


Il fenomeno del carsismo e le falesie di Verezzi – Gallinari – Caprazoppa

Come detto in un altro approfondimento, milioni di anni fa questo altopiano non esisteva.
Al suo posto solo acqua, acqua a perdita d’occhio.
Poi pian piano il mare si è ritirato e la terra è emersa.
Col tempo, rocce già modellate dal mare, sono state interessate dal carsismo che le ha ulteriormente modellate,
cambiando l’aspetto al paesaggio.
Acque piuttosto acide hanno incavato rocce calcaree, gessi e salgemma e la corrosione superficiale ha dato vita a
campi solcati, fori di dissoluzione e vaschette di corrosione.
Il grande incendio del 1995 ha ulteriormente posto alla luce del sole questa porzione di altopiano che, a differenza del
tratto più basso dove sorgono fitte leccete, ha maggiormente risentito dell’azione del fuoco (il leccio ha una robusta
corteccia poco infiammabile).
Queste rocce si trovano anche sul vicino promontorio di Caprazoppa, costituito anch’esso da ripide falesie sulle quali
sono state tracciate moderne vie di arrampicata.
Pareti una volta modellate e lambite dal mare (falesie vive), oggi aride e in parte circondate dalla vegetazione
(falesie morte).
Percorrendo la cresta Gallinari fino alla base della falesia nei pressi della Vecchia Cava ci si imbatte anche in ampie
porzioni di suolo interamente rossiccio, sabbioso, che dona al paesaggio un aspetto decisamente surreale, variopinto.
Queste terre rosse, sono i residui insolubili della dissoluzione dei calcari e il colore è dato dalla gran quantità di
minerali argillosi.

trekking sentiero cultura borgo verezzi

Rocce carsiche modellate dal mare

Per scalette e scalinate rocciose seguo il sentiero, ora ripido, che punta con decisione verso il basso, ai piedi
delle rocce, verso Borgio.
Giungo su di un “puntale” roccioso definito “punto estremamente panoramico”.
E non a torto!
Forse la visuale era più ampia qualche metro più in su, ma anche da qui il panorama è pazzesco.
In basso, molto più in basso, verticale e dritto verso il mare passa l’Aurelia.
Distinguo pure le spiaggette e i singoli ombrelloni dei vari stabilimenti!
Ma soprattutto in una giornata così, sono i colori del mare a dare quel tocco di magia, passando dal verde chiaro a
quello scuro, dall’azzurro chiaro allo scuro, per terminare più al largo con un bel blu intenso.
La brezza e le onde increspano questa tavolozza di colori che oggi sembra inebriarsi e rifulgere di luce.
Mi rimetto in marcia per fermarmi subito dopo pochi passi.
Un salto verticale di roccia (10-20 metri?) interrompe il sentiero.
E chi se l’aspettava su un sentiero così?
Piano piano mi avvicino al canapone con cui è attrezzato questo tratto, mi schiaccio alla roccia e, afferrando la corda
con le mani, inizio a scendere giù, spalle alla costa, appoggiando piano i piedi sui due pioli in ferro infissi alla roccia.
Nulla di complicato, solo un pizzico di adrenalina: in pochissimo torno coi piedi per terra e riprendo la discesa.
A guardare il tutto dal basso però sembra di dover salire una muraglia calcarea immensa!
Questa è la natura, la roccia, la terra!
Come passeggiando sulla cresta di una morena glaciale, mi abbasso tenendo sulla sinistra l’incredibile parete rocciosa
intaccata dall’uomo.
Rossiccia, marrone e marroncina: ho raggiunto la Cava Vecchia.


La Cava Vecchia (o Cava dei Fossili)

Scendendo dalle rocce di Gallinari, non si può rimanere indifferenti alla grande conca a semicerchio che si apre
sulla sinistra.
Un enorme vuoto, oggi in parte boscoso, terminante con una roccia levigata e rossiccia su di una parete impressionante.
La forma è una mezzaluna.
E’ la Cava Vecchia, che un tempo, prima del 1930, aveva una volta che copriva il grande spazio vuoto attualmente visibile.
La pietra infatti veniva estratta in galleria.
Il crollo avvenne in una pausa pranzo dei cavatori, usciti all’esterno proprio perché insospettiti da rumori sinistri
provenire dall’interno.
Fortunatamente non ci furono vittime e, come sempre accade in questi casi, dopo poco si dimenticò il fatto.
Il metodo di estrazione, (coltivazione) della pietra, era quello a cannetta mediante il quale si eseguivano (a punta e
mazzetta
), solchi verticali profondi nella roccia a seconda della dimensione desiderata.
La pietra veniva poi cavata con l’aiuto di cunei di legno e punteruoli, che venivano incastrati sul lato debole e
generalmente inclinato.
Il legno, imbevuto d’acqua, era preferibile al metallo in quanto, una volta incastrato nella fessura, aumentandone il
volume dello stesso, favoriva il distacco della pietra.
Metodi di estrazione più invasivi e moderni prevedevano l’uso dell’esplosivo e del filo elicoidale.
Il primo però era un metodo altamente distruttivo, frantumava la roccia perdendone in gran parte: si abbandonò
quasi subito.
Il secondo era il migliore: fili d’acciaio intrecciati ad elica erano in grado di portare con sé una miscela abrasiva di
acqua e sabbia capace di consumare la roccia.
Fili lunghissimi venivano così disposti all’interno della cava mediante l’uso di pulegge e rinvii.
Si isolava la roccia, la si consumava, e se ne raccoglieva infine la porzione desiderata, (volata) sull’area di lavoro.
Infine i grandi blocchi venivano ulteriormente divisi e trasportati a Verezzi dove successivamente erano lavorati e
il prodotto finito commercializzato.
Era una vita molto dura, mal pagata e soprattutto non esente da rischi, senza contare le esalazioni di polveri e sostanze
che col tempo portavano a malattie anche gravi.
Le pendici collinari di Borgio e il Finalese sono letteralmente cosparsi di cave, grandi o piccole; percorrendo uno dei
numerosi sentieri ci si imbatterà per forza in una di esse.
Questa è solo la più grande, (e in galleria), delle cave descritte in questi itinerari, le altre sono la Cava Pilino,
la Cava Ronco, la Cava dell’Orera e la Cava del Colle.
La Cava Vecchia era già operativa nel 1500.
Proprio in quel tempo si iniziò ad estrarre la pietra bruno-rossiccia richiesta non solo per i lussuosi edifici aristocratici
presenti a Genova, Loano e nel feudo dei Doria, ma anche a scopo decorativo-ornamentale e da taglio.
 Più di 20 milioni di anni fa, qui c’era solo mare, normale quindi che siano stati ritrovati ricci di mare, molluschi e
conchiglie su queste rocce emerse dalle acque, quando il fondale marino iniziò a sollevarsi e l’acqua a ritirarsi.
L’altopiano che si formò col tempo fu sottoposto alla modellazione delle acque fluviali, per questo alcune zone sono
nettamente diverse dalle altre.

Cava Vecchia sentiero cultura Borgio Verezzi

la roccia rossa della Vecchia Cava

Le difficoltà sono finite, non mi rimane che seguire la traccia che mi consente di tenere aperta la finestra sulla
costa alla mia sinistra.
Il sentiero esce dalla macchia e si allarga passando nel mezzo tra un punto ristoro e la Cava Pilino (via Cava Vecchia),
finendo poi sull’asfalto di Via Nazario Sauro.
Inizia ora, o meglio, riprende, la parte culturale del tracciato.
Percorro qualche metro in salita (100 metri max.) fino a raggiungere la borgata di Poggio nella quale mi porto 
prendendo a sinistra il bel viottolo che lo attraversa (via Poggio).
Dall’alto non mi sbagliavo: sono un viandante in un presepe che sta percorrendo i caruggi di un piccolo borgo in stile
arabo-mediterraneo, con case e torri in pietre, terrazze, porticati e scorci pazzeschi verso il mare.
E poi fiori, tantissimi fiori.
Uno su tutti la Bella di Notte che proprio ora al tramonto si sta aprendo.
Cactus, fichi d’india, capperi, piccole palme e ciclamini contornano questo quadretto uscito dai pennelli dorati di un pittore.
Cammino piano, senza far rumore per non turbare la quiete di questo luogo ora deserto.
Scendo sulla bella via in pietra, un gradone dopo l’altro osservando ogni singola torre o casa (in effetti molte sono
torri-casa), inebriato dal profumo dei fiori nell’aria.
Ogni passo mi sorprende, mi cattura: non avrei scommesso su tanta bellezza all’inizio del giro.


Poggio

Il termine Poggio sta di base ad identificare una fortezza o un insediamento a carattere difensivo immediatamente
prospicente sul mare.
La borgata di Poggio ha queste caratteristiche.
E’ la prima che si incontra salendo da Borgio e la sua struttura è fatta per la difesa.
Di un antica fortezza poco è giunto fino a noi, ma alcuni elementi da ricercarsi nella forma delle case sono ancora
ben visibili, come la torre di forma circolare, dalle cui mura si è sviluppata la frazione.
Un’altra torre di forma quadrata sorgeva nella parte alta del borgo e, collegata alla prima da due ripide stradine parallele,
regolava l’accesso proveniente dal mare alle frazioni poi sviluppatesi alle sue spalle.
Di questa torre è rimasto poco o nulla, ma le strade di collegamento sono ancora al loro posto.
Poggio è, come detto, il borgo più antico di Verezzi e per lungo tempo, nel periodo estrattivo delle cave, era anche il più
popoloso, superando Borgio.
Questo perché l’artigianato era fiorente, soprattutto la lavorazione della pietra che qui veniva trasportata.
Camminando per i suoi caruggi ci si accorgerà che, rispetto agli altri borghi, la pendenza è maggiore.
Questo per via della struttura difensiva; si doveva rendere difficile l’accesso all’entroterra.
Oggi completamente ristrutturato, Poggio conserva ancora tutti gli elementi di un tempo; a partire dalle case, dai
lavatoi e dai terrazzini tutti sovrapposti e perfettamente incastrati fra loro.

Borgata Poggio

la Borgata Poggio con la torre circolare

Oltre un sottopasso svolto a sinistra e bordeggiando le ultime case, mi ritrovo sull’asfalto nei pressi di un tornante
della strada comunale che sale da Borgio.
Giusto due passi e rientro nella macchia (via San Giuseppe) di nuovo su sterrato misto ciottoli.
Dopo 50 metri sulla destra appare un bivio (salita verso Roccaro) e l’Edicola Votiva di San Giuseppe, restaurata nel
1940 da una pittrice estone, la contessa Catherine de Martens che si rifugiò a Verezzi l’anno prima.
Tiro dritto per via Erxi circondato da ulivi, carrubi, capperi e fichi d’india dai frutti gialli, rossi, arancio e verdi: si vede che
l’estro del pittore è arrivato fin qui!
Una stretta mulattiera mi congiunge al bivio più importante che incrocia con la via di salita dalle Grotte di Borgio:
il “Carrubo del Buongiorno”.


Il Carrubo del Buongiorno e altre specie di piante

Il Carrubo del Buongiorno è un bivio, ma anche un antico punto di incontro e di scambio delle merci fra verezzini e borgesi.
Ma perché proprio in questo posto isolato a metà versante della collina?
Perché un tempo qui era presente un gigantesco carrubo che identificava il luogo d’incontro e baratto.
Gli abitanti si incrociavano la mattina presto, ognuno cercava di soddisfare i bisogni dell’altro e nel mentre ci si augurava
il buongiorno.
La maestosa pianta ha resistito fino al 1929 quando una gelata ha causato la sua morte.
La tradizione non si è persa però e, oggi, il suo posto è stato preso da un giovane carrubo che si spera possa crescere
anch’esso forte e vigoroso.
Il carrubo è una pianta venuta dall’Oriente e non si trova in altre zone della costa ligure; questo ad indicare la chiara
influenza araba-saracena di questi borghi, colonizzati da antichi abitanti che trasportavano sulle loro navi proprio
questi alberi.
Ma perché importare questa pianta?
Non solo per motivi ornamentali o perché il clima ligure lo permetteva, ma anche per sfamare muli e bestie da soma
impiegati per il trasporto merci, da Verezzi al mare e viceversa.
Il carrubo (Ceratonia siliqua L., 1753) è una pianta che resiste bene ai suoli aridi interessati da scarse precipitazioni.
Molto longevo e con una chioma fitta, è oggi un po’ la pianta simbolo di Borgio Verezzi ma fino a qualche decennio fa
veniva usata nell’alimentazione del bestiame, molto ghiotto delle carrube, frutti dolcissimi racchiusi in baccelli.
Anche l’uomo si serviva di questi però, soprattutto per preparare dolci.
Oltre al carrubo, a imperversare lungo queste pendici collinari sono l’ulivo (Olea europaea L., 1753) e il cappero
(Capparis spinosa L., 1753).
Il primo è noto a tutti: i Benedettini diffusero la coltura dell’ulivo già dall’anno 1000.
Fin da quei tempi l’olio iniziò ad essere utilizzato come merce di scambio.
Olive e olio la fanno da padroni, anche oggi sulle nostre tavole, e sono marchi del Made in Italy conosciuti in tutto il mondo.
La “Taggiasca” e la “Colombaia” sono le varietà di olive più diffuse che danno origine ad uno degli oli migliori in assoluto,
quello ligure, in quanto ricco di proprietà organolettiche.
Il secondo è forse meno noto.
A Verezzi lo si trova ovunque, specialmente sui muri di pietra calcarea.
Come il carrubo, anche il cappero ha influenze greco-arabe.
In ambito alimentare viene impiegato il bocciolo, essiccato e messo a macerazione sotto sale o sotto aceto:
serve per aromatizzare le pietanze.
In ambito medico si utilizza la corteccia della radice che ha proprietà diuretiche e di protezione dei vasi sanguigni, ma
anche per lenire i reumatismi.
I boccioli rimasti sulla pianta però regalano spettacolo in estate dando origine a bellissimi fiori bianchi valorizzati a
scopo ornamentale.
Non è raro imbattersi anche in qualche melograno (Punica granatum L., 1753).
Un tempo più diffuso, soprattutto come albero da frutto, è oggi impiegato quasi
unicamente per adornare
balconi e terrazzini.
Il trono però a mio avviso va a lui, il fico d’india (Opuntia ficus-indica (L.) Mill., 1768.
Originario del Centroamerica si è diffuso in tutto il mediterraneo e nei climi caldi, come qui, in questo tratto di Liguria.
Prolifera ovunque e le sue larghe pale spinose proprie dei cactus, non hanno problemi di adattamento o insediamento.
Se una pala si stacca, e cadendo finisce in una fessura rocciosa o incastrata nel muro, essa “attacca”!
Lì si svilupperà una nuova pianta.
Buonissimi i suoi frutti variopinti, ricchi di vitamina C, fosforo e calcio.
Ma guai a toccarli a mani nude! 

sentiero cultura borgio verezzi

i variopinti fichi d’India

Da questo punto non resta che risalire fino a Crosa passando per le borgate di Roccaro e Piazza.
Per farlo seguirò in senso contrario l’ultima parte del
Sentiero Natura, dato che i due ora coincidono.
Il panorama si chiude ma il piacere del cammino non viene certo meno.
Le gambe tornano a spingere e il fiato si accorcia.
La salita torna a farsi ripida.
Queste antiche mulattiere sono davvero uno spettacolo, delimitate da muretti a secco e terrazzamenti dove esplodono
capperi e ulivi.
Risalgo il pendio a tornanti e poco più in su, riecco la grandiosa vista sul mare e sulla costa.
Curva e controcurva mi porto ai piedi delle prime case di Roccaro che, come avvenuto per Poggio riecheggiano di
tempi remoti dove tutto è rimasto come allora.
Credo che l’esempio del presepe calzi a pennello, pare proprio di attraversare un borgo sulla via di Betlemme.
Alti muretti mi instradano verso il centro del borgo.
Sedute sui gradini di una casa, alcune anziane signore discorrono allegramente accennando ad un cordiale saluto
nei miei confronti non appena mi vedono spuntare dal viottolo in tenuta sportiva.
Ai loro occhi confesso che sarò sembrato un marziano.
Come una volta, in realtà fino a pochi anni fa, prima che tutto venisse distrutto e scombussolato, la gente usciva di
casa per trovarsi e per parlare, ammirando il paesaggio, aiutandosi l’un l’altro.
Oggi, in un’involuzione senza fine, trincerati dietro la tecnologia abbiamo perso tutto questo, isolati e soli.
Un grande portico, sotto una piccola torre circolare, è il passaggio verso il centro della borgata, in un punto dove si
incrociano tre vie.
Una in salita, via Castello, che ignoro, una a sinistra che descriverò in uno dei prossimi percorsi e nel box qui sotto,
e l’altra a destra, via Roccaro, che imbocco.
Un bellissimo camminamento in pietra porta in leggera salita verso Piazza, superando un vecchio lavatoio.
Questo borgo è anche il più famoso dato che ogni anno nella piazza di S. Agostino si svolge un famoso festival teatrale
che richiama frotte di turisti.
Tipica è dunque questa piazzetta denominata “il balcone sul mare”, poiché da qui si ha una splendida vista sul golfo
di Borgio e Pietra Ligure.
La piazzetta è preceduta da un altrettanto noto porticato ad arcate (Porticato Roccaro), sotto le quali sbocciano i primi
amori e le coppie tendono a darsi appuntamento.
Luoghi magici, antichi, rimasti come un tempo che bisogna proprio visitare.


Roccaro e Piazza

Roccaro è forse il borgo più recente di Verezzi in quanto la disposizione di vie e case, secondo due assi ortogonali,
fa risalire la sua costruzione al 1700 circa quando iniziarono a sorgere belle case di villeggiatura adornate di simboli,
stemmi e meridiane.
La borgata sorge su rocce vive, affioranti, da cui il nome.
Bella, elegante e sviluppata verticalmente sul pendio con caruggi tipici dai quali si godono stupendi panorami sul mare.
Da vedere assolutamente è il terrazzino aggettante di fronte la Cà du Gregorio.
Un grande pergolato ricoperto di viti e uva (a fine estate – settembre), accoglie il visitatore in un luogo surreale.
Sotto il pergolato sono posti molti tavoli, tavolini e sedie sui quali si trovano numerose specie di piante (soprattutto
grasse, cactus) e oggetti di una volta, piccoli e grandi che destano curiosità.
Le piantine spuntano da ogni dove: caffettiere, vasi, anfore, tazze, padelle, giare ecc.
Macchine per cucire, impastatrici e altri oggetti, fanno da corollario a queste composizioni originali.
Il vero simbolo che attrae i turisti però, è una finestra rossa senza vetri affacciata su Borgio e il mare.
Alle sue ante sono appesi vasi e piccole lanterne, per una foto davvero d’autore!
L’antica casa del 1600 ospita oggi un agriturismo che produce olio, vini liguri, capperi, frutta e ortaggi di stagione,
tutti favoriti dall’ottima posizione in pieno sole.
Piazza è invece il nucleo principale di Verezzi, il più famoso.
Quanto a bellezza non mi sento di giudicare: trovo queste borgate una più bella dell’altra, impossibile scegliere.
Prende il nome dall’omonima Piazza di S. Agostino, sistemata e ampliata dopo il 1670 quando è stata demolita una
casa privata.
Piazza è sinonimo di teatro, quello che ogni estate, dal 1967, si svolge qui, su questo balcone, attirando sempre un
gran numero di appassionati.
Non c’è quasi attore o regista che non sia passato dal palcoscenico di Verezzi.
Da vedere c’è anche la bella chiesetta che qui sorge e che è stata restaurata dopo la guerra.
Poi, stretti caruggi e viottoli, collegano le varie case apparentemente disordinate e di forma propria, ma con una
loro logica.
La località è oggi famosa anche per la qualità della ristorazione (famose le lumache in umido con vino bianco,
ed erbe aromatiche) e del soggiorno (b&b e locande).

sentiero cultura borgio verezzi trekking

da destra, Crosa Bassa, Piazza e Roccaro (alle spalle)

Questo balcone, di solito sempre gremito di gente, oggi vede poche persone, forse intimorite dal cielo plumbeo che
tuttavia regge.
Dall’antica piazza saracena seguo i pannelli di questo percorso sulla via di rientro a Crosa.
Svolto a sinistra in un caruggio in salita fino a sboccare sulla comunale (via A. G. Barilli) che attraverso per risalire le
ultime rampe di ciottoli pietrosi fino alle case di Crosa Bassa, da cui sono partito.
Un bivio ed una svolta a sinistra, mi portano al parcheggio e alla conclusione di un anello davvero sorprendente,
ricco sì di aspetti culturali e architettonici, ma anche ambientali e montani, presentando un tratto centrale semplicemente
da urlo.
Non so se sono riuscito a trasportarvi in questo magnifico viaggio, spero di si.
Diciamo che ho cercato di “buttare sulla tastiera” tutte le sensazioni che ho provato in questa giornata, andando ad
illustrare tutti i motivi per cui vale proprio la pena di organizzare delle belle camminate in queste borgate.
Mi rendo conto che, nonostante il racconto della mia esperienza e l’ausilio di box informativi (ispirati ai pannelli che si
trovano in loco) a cui ho delegato gli approfondimenti, possa rimanere molto altro da dire.
Ma, senza ulteriormente dilungarmi e annoiarvi, lascio a voi il piacere di scoprire il resto della magia.
Altrimenti che gusto ci sarebbe?
Raccomando solo di non perdere anche gli altri itinerari:
Sentiero Natura, Sentiero Geologico e Via dei Carri Matti.

Relazione e fotografie di: Daniele Repossi


Note:
i
l percorso di trekking che non ti aspetti.
L’itinerario attraversa tutti i siti di maggior interesse culturale di Verezzi (da qui il nome), non a caso vengono toccate
tutte le 4 antiche borgate storiche (Crosa, Poggio, Roccaro, Piazza) e la chiesetta di S. Martino, risalente al 1640.
Ma poi, all’improvviso, arriva la sorpresa, un qualcosa che non ti aspetti che ti catapulta dentro un altro mondo.
Una cresta boscosa-rocciosa estremamente panoramica a picco sul mare sul promontorio di Gallinari, dalla quale
scendere è proprio un peccato.
Questo è anche l’unico tratto in cui occorre prestare attenzione, sia per l’orientamento (tratti di sentiero non sempre
evidenti) e per il breve ma verticale tratto attrezzato con la corda nei pressi della Cava Vecchia.